mercoledì 8 settembre 2010

dedicato alle caprette

C'è poco da fare: a me la domenica piace andare a vedere le caprette.

Niente mi rilassa e stimola di più di guardare queste simpatiche creature che vivono felici la loro domenica pomeriggio con le loro simili o, magari, in compagnia di qualche altro strano animaletto.
Nell'ultimo anno la mia passione per le caprette è diventata via via più intensa, tanto che ora stanno cominciando ad emergere dentro di me, diciamo così, delle paure e dei sensi di colpa nei confronti delle pecorelle.
Come dichiarato in diverse circostanze ho un debito d'onore con la specie "pecorella" - potrei andare a cercarne il nome scientifico in giro su google, ma non mi va - anche perché convivo con una di esse da quando avevo 14 anni e ci siamo sempre volute tanto bene, sebbene la mia pecorella non sia una pecorella propriamente detta ma somigli, piuttosto, ad un parrucchino mal riuscito trovato in qualche negozio di parrucche negli anni 20 (dell'ottocento).
Non so perché ma le pecorelle, quantomeno nel mio personale immaginario, sono in qualche modo imparentate con le caprette (così come le rane sono tutte femmine e i rospi sono tutti maschi), e di entrambe non ho ancora ben capito quale dovrebbe essere il partner maschile (il montone? L'ariete? Lo stambecco????). Ho quindi paura che questo mio crescente entusiasmo per le caprette potrebbe essere a maggior ragione mal visto dalle pecorelle, che potrebbero accusare me di tradimento intestino, proprio con le loro cugine caprette, e cominciare a belare in modo polemico, rivolte a queste ultime, "parenti serpenti".

Insomma, non è a cuor leggero che pubblico sul blog questa dichiarazione di poetica, ma i tempi chiamano per un outing chiaro e coraggioso e ho deciso che non posso tirarmi indietro.
Spero che le pecorelle non me ne vorranno.

La capretta è un animaletto di carattere, c'è poco da fare.
Qualche mese fa eravamo allo Jardin Alpin, vicino Ginevra, e ho avuto una chiara dimostrazione della solidità caratteriale di questi ovini. Ero, infatti, lì a fare la stupidina e raccoglievo da terra foglie cadute e pezzetti di pane, e di tanto in tanto, quando il mio bottino di mondezza raggiungeva una soglia dignitosa, infilavo la mano tra la rete per dare da mangiare alle caprette accorse dalla mia parte. Finché la mano che porgeva loro il cibo era piena di qualcosa di commestibile tutto bene. Ad un certo punto, però (peccando di hybris, ora lo so), sentendomi meritevole di un contatto affettuoso e disinteressato con la capretta (dopo aver passato dieci minuti a nutrirla), ho osato allungare la mano vuota così, per fare una carezza, e...la capretta si è avvicinata, ha capito che la mano era vuota, e ha subito dato una cornata sulla rete come a dire: "Ao', ma che stamo a perde tempo qua?? Che me stai a frega'?!?!"...Insomma, dopo tanto penare non ho meritato manco un gesto d'amore dalla capretta ingorda, ma non ho potuto non apprezzare la fattività dell'animaletto, il forte senso pratico e la chiarezza mentale che ha dimostrato.

Un altro ricordo felice legato alle caprette si è formato nella mia testa, sotto la pecorella, non più tardi di domenica scorsa, quando siamo andati in un altro parco - questo ben più grande - e abbiamo trovato una mare di animaletti simpaticissimi capeggiati, manco a dirlo, da una grande varietà di caprette.
Come è nel loro carattere votato alla leadership, due caprette bianche e nere, una grande ed una piccola, c'hanno accolto nei pressi della cancellata di ingresso, come a dire buongiorno, ben trovati, siamo contenti della visita, e lì ho potuto constatare un'altra grandissima abilità delle caprette: il ventriloquismo.
E' successo infatti che una delle due caprette - quella piccola - stesse lì vicino alla rete a fare gli onori di casa, e che nel frattempo emettesse un sommesso "meeehhhh" senza muovere la bocca. Che figata! Per un attimo sono rimasta perplessa, ma quando mi sono convinta che il suono arrivava dalla nostra ospite, non ho potuto che segnare altri mille punti alle caprette e inchinarmi ammirata di fronte a tanta abilità.

Dopo aver girato per un po' nel parco siamo tornati dalle caprette, che a quel punto erano diventate tre: due piccoline scalmanate ed una grande sbragata per terra, disinteressata degli avvenimenti esteriori (apparentemente, forse: qualcosa mi dice che la capretta è sempre vigile), con l'aria cinica e annoiata di chi, nella vita, ne ha viste tante e non c'ha certo fantasia di starcelo a raccontare a noi. Le due piccoline, invece, hanno dato spettacolo: si sono infatti esibite in una lotta senza esclusione di colpi, correndo come scalmanate, zompando su un masso dalla cui sommità (quando non scivolavano come sceme) si avventavano poi sull'altra con la testolina in diagonale per rendere più efficace il colpo di cornette. Ahh, che meraviglia! Una delle due, in tutto questo clamore, è pure riuscita a fermarsi da noi a fare il pit-stop: si è infatti presa la fogliolina che le stavamo porgendo DA TRE ORE e poi è corsa via, più carica che mai grazie alle 0.001 calorie guadagnate con la nostra fogliolina, per tornare ad attaccare la sua amichetta.

Insomma, le caprette c'hanno il know how per un sacco di cose, ed io le ammiro sempre di più. Mi piacerebbe davvero, un giorno, finire non so come a vivere in una casa con un grande pezzo di terra e circondarmi di caprette isteriche e felici che mi corrono intorno e si mangiano le mie povere piantine.

p.s. I cuccioli di capretta sono stupendi, ma quelli umani sono ancora meglio, e ne ho avuto dimostrazione proprio allo Jardin Alpin. Mentre ero lì che, come una pupetta, cercavo di raccattare foglioline da terra per giocare a dar da mangiare agli animali, mi si è avvicinato un piccolo bimbetto cinese che non avrà avuto più di tre anni e, avendo visto che tanto mi affannavo a cercare del cibo, mi ha porto la sua manina e...mi ha dato tutto il mais che aveva dentro per darlo alle caprette! Sorvolando su chi sia stato l'adulto e chi il bambino in questa circostanza, confesso che mi sono commossa di fronte a tanta dolcezza, e questo piccolo scambio di mangime tra noi nutritori di caprette mi ha fatto sentire, come dire, molto orgogliosa anche di noi homo sapiens, che a volte sappiamo essere davvero speciali.

domenica 11 luglio 2010

l'animaletto domestico dell'oracolo di delfi - il polpo paul

Se gli organizzatori del mondiale South Africa 2010 l'avessero saputo prima, senz'altro il simbolo della competizione non sarebbe stato un omino stilizzato che calcia in rovesciata un pallone sullo sfondo dei colori della bandiera sudafricana, ma un tentacoloso polpo aggrovigliato ad un pallone che innalza con uno dei suoi tentacoli la coppa del mondo.
C'è poco da fare, volenti o nolenti il polpo Paul ha conquistato la ribalta con le sue predizioni e, sebbene la coppa del mondo sia ora in terra spagnola, sarà lui che passerà alla storia come il vincitore morale di South Africa 2010.
Prima di lasciarmi andare alla sudditanza psicologica (con la devozione incondizionata che ne consegue) per questo animaletto eccezionale, vorrei soffermarmi su quella che, a mio avviso, dovrebbe essere una delle domande principali per chiunque si affacci nel fantastico mondo dei miracoli di Paul, ma che, non so perché, invece nessuno sembra porsi. Ovvero: ma come diavolo è cominciato tutto questo?
Mi spiego meglio. Da brava italiana so che cosa sia la superstizione mondiale, la sacralità dei rituali anche nei loro aspetti più improbabili e le inaspettate strategie propiziatorie che le menti del nostro popolo colorito riescono ad elaborare in concomitanza delle partite storiche della nazionale, ma mai, mai e poi mai riesco a concepire come sia possibile che un tizio che, svegliatosi la mattina di una giornata in cui cadeva una importante competizione per la sua squadra (la germania, in questo caso), decidesse di porre fine immediatamente al mistero, si risolvesse, a tal fine, ad interrogare un polpo di un acquario in uno zoo sottoponendogli del cibo chiuso in contenitori trasparenti drappeggiati dalle bandiere delle squadre sfidanti. La procedura è quantomeno poco intuitiva.
Parlando con marco di questo argomento, questi ha realisticamente suggerito che la procedura sia stata definita alla fine di una serata a base di alcool da una cricca di crucchi ubriachi (wow, un fonosimbolismo!) che, per sapere in anticipo come sarebbe finita la partita della loro altrettanto crucca nazionale, si sono guardati e si sono detti: interroghiamo un polpo!

E va be', accettato questo mistero non c'è che farsi suggestionare dalle eroiche gesta di Paul, che senza paura sfida la sua stessa possibilità di sopravvivenza e pronostica coraggiosamente l'uscita di scena dai mondiali del suo paese ospitante, la germania.

In italia poche voci pubbliche sanno essere altrettanto coraggiose, e dunque tutti noi ne siamo suggestionati.

Il fatto è che il polpo piace.
E' lì nella sua vaschetta, incorruttibile, sceglie senza paura e poi, dopo la crudele (o dolce) sentenza, torna a sonnecchiare sui suoi scogli attendendo sereno la comparsa di eventuali sicari vendicatori.
Il polpo è inoltre figura attuale. Nell'immaginario collettivo italiano evoca la piovra, e quindi pone in primo piano problemi sempre attuali nel nostro scenario politico-sociale quali la mafia, che una serie televisiva di un paio di decenni fa associava a questo animaletto parente di paul.
Il numero enorme di tentacoli è anch'esso chiaro richiamo al sistema corruttibile italiano e cita con coraggio la capillarità delle reti clientelari che deturpano e indeboliscono ogni giorno la nostra società, e rendono quindi paul figlio del suo tempo e rappresentante innocente dell'insanità del momento in cui vive.
Come proponeva ieri dario, forse l'altra sera casillas avrebbe dovuto alzare al cielo il polpo, non la coppa, o, ancora meglio, avrebbe dovuto baciare appassionatamente la sua bella facciona oblunga e non quella della sua affascinante fidanzata giornalista. Minimo minimo sarebbe stata auspicabile una invasione di campo di paul, anziché del nostro folcloristico connazionale pro-cassano che ci ha fatto fare la nostra solita, affezionata e immancabile figura da peracottari.
E va be'.

In rete sono circolate diverse teorie sulle modalità con cui paul elabora i suoi pronostici, ma non voglio sofferarmi sull'argomento perché preferisco preservare il fascino della circostanza per cui un polpo è più bravo di mille esperti a predire i risultati delle competizioni mondiali, piuttosto che lanciarmi in intellingenti considerazioni sulla disposizione delle squadre nella vaschetta, sui colori delle bandiere etc. Certe divinità vanno amate bovinamente, senza domande di sorta, con puri tripli salti mortali di fede. E paul non merita nulla di meno che questo amore incondizionato, perché ha rallegrato, almeno a noi italiani, un triste mondiale passato per tre partite ad aspettare che la nazionale cominciasse a giocare sul serio a pallone, e per le altre a gufarla alla germania a causa del video che tre dei suoi sbronzi tifosi avevano diffuso prima del mondiale su internet, augurando la sconfitta all'italia. Come diceva giustamente zucconi su repubblica, l'altro giorno: chi gufa sarà gufato. E paul ci ha vendicato.

Piccolo scoop in diretta. Proprio mentre sto scrivendo questo post, leggo su repubblica online che l'istruttrice del polpo ha rivelato interessanti retroscena sulla storia di paul, spiegando che paul è italiano - toscano, in particolare - e che proviene dall'isola d'elba.
Ecco spiegato il mistero.
In italia non solo cani e porci si intendono di calcio, ma pure abitanti del mondo sottomarino che, impossibilitati dal caos proveniente dalle terre emerse a vivere in pace la loro umida vita, di domenica pomeriggio (e ora pure sabato sera, e mercoledì sera, e a volte martedì etc), hanno deciso di interessarsi del business del calcio e di provare a capirci qualcosa anche loro per prendere parte alle discussioni.
Forse Paul, in quanto toscano, è della fiorentina e prandelli è stato una sua dritta.

Mi permetto di chiudere il post con un invito: la snai dovrebbe adottare l'icona di paul come suo simbolo. Un polpo che, penna al tentacolo, compila una schedina mentre dietro di esso si ammassa una folla di scommettitori domenicali che cercano di carpire i suoi pronostici al fine di poterli usare per arricchire le loro tasche.
Non solo: la figura di paul andrebbe aggiunta ai profeti che secoli di storia occidentale hanno tramandato fino a noi. La pizia, l'oracolo di delfi, tiresia, la sibilla cumana...e infine paul che, se tanto ci dà tanto, è la versione attuale del saggio che guarda lontano nel tempo, e che incarna la saggezza e il meglio dell'umanità ad esso contemporanea. Se la componente divina della grecia classica si traduceva in tiresia o nell'oracolo di delfi, quella dei primi italici nella sibilla cumana, quella dei francesi del '500 in nostradamus, la nostra si traduce in...un polpo, che infila tentacoli dove può per procacciarsi il cibo e se ne frega di tutto e di tutti. Direi che ci facciamo un figurone: agli occhi dei fottutissimi posteri che stanno sempre a mettere pressione risulterà che siamo davvero un popolo fico che nulla ha da imparare dal mos maiorum o da genti varie passate o future.

mercoledì 9 giugno 2010

l'astuzia e il commovente coraggio dei pallini gialli

L'altra mattina mi sono svegliata molto stanca. Sebbene la notte avessi riposato abbastanza bene, la stanchezza accumulata nell'ultimo periodo è tale che difficilmente può essere smaltita in una notte di sonno.
Nonostante la fatica, mi sono alzata, ho messo su l'acqua per il tè, ho avviato il pc...e mi sono resa conto che avevo qualcosa di inconcluso in testa, come se mi fosse sfuggita una riflessione importante che stavo facendo e che non avevo portato fino in fondo, o come se avessi dimenticato qualcosa di bello che mi piaceva rigirarmi nella mente ma che, in quel momento, era fuggito via.
Proprio mentre stavo spalmando il miele sul pane...tac! ecco che mi è apparsa splendente e ben definita, proprio al centro del cervello, la causa di quella insoddisfazione mattutina: il sogno che stavo facendo e che il suono della sveglia aveva interrotto proprio nel momento di massimo pathos narrativo.
La prima parte del sogno si svolgeva in una specie di enorme villa: accedevo ad essa attraverso un bellissimo giardino pieno di fiori e fontane e, quasi istantaneamente, mi ritrovavo a guardare l'ingresso dell'edificio stesso dall'interno, da una sorta di stanza che dava nella sala informatica in cui erano situati tre pc neri.
Ora, il fatto curioso della faccenda era che i capi della villa erano tre grandi cagnoni neri e, dato che avevo bisogno di un account in uno dei computer lì presenti, dovevo rivolgermi ad essi perché mi abilitassero all'utilizzo di una di quelle macchine.
Don't worry, il fatto di dovermi rivolgere a tre cani per avere un account su un pc non mi preoccupava: sono cose che capitano quotidianamente. Tutto sta nel sapersi comportare.
Proprio mentre mi muovevo per cercare i cani ed avere l'account...lo scenario cambiava rapidamente e mi trovavo su una spiaggia ai piedi di quello che credevo fosse il relitto di una grande nave.
Ora, si scopriva che in realtà tutta questa storia di cani era una grandiosa lotta tra titani (o dèi o roba simile) che volevano conquistare il mondo e che mettevano in pericolo l'umanità, e che i cani, insieme con mia zia, stavano cercando di capire come gestire la situazione.
Ad un certo punto, però, si capiva ancora meglio e si scopriva che in realtà degli umani non ce ne fregava nulla, e che i veri protagonisti erano dei piccoli pallini gialli di mezzo centimentro di diametro, creature vive e intelligenti che avevano una faccetta - meglio: erano solo una piccola, tonda faccia gialla -, dei sentimenti e dei pensieri, e che erano in pericolo perché una specie di dio del cielo, che in quel momento, però, stava facendo il bagno nell'oceano e in pochi minuti si sarebbe messo a prendere il sole sulla spiaggia, voleva distruggerli tutti e far estinguere la loro specie.
I pallini gialli non ci stavano.
Saranno pure stati pallini ma avevano una enorme dignità e forza d'animo.
Con mio grande stupore, nonostante il supposto risentimento che avrebbe, a mio avviso, dovuto monopolizzare il loro cuore, vedevo allora che piano piano si facevano gentili e carini e andavano dal dio del cielo che prendeva il sole (ora non più sulla spiaggia, ma sospeso a pochi metri nell'aria, a penzoloni su una nuvola) ed erano gentilissimi con lui: gli chiedevano se avesse bisogno di qualcosa, se voleva un gelato, se potevano far qualcosa per allietarlo...Insomma, risultavano amabili e disponibili.
A quel punto io rimanevo molto perplessa e pensavo che era strano, tutto questo, perché visto che era in pericolo il loro universo avrebbero potuto pure essere un po' incazzati col dio del cielo che voleva distruggerli, invece sembravano docili e mansueti e non si preoccupavano di nulla.
Fatto sta che, proprio mentre mi abbandonavo a queste riflessioni, vedevo che tutti i pallini gialli, che prima volavano all'altezza della nuvola dove prendeva il sole il dio del cielo, rivolgevano i volti verso il basso e cominciavano a scendere (per svolgere eventuali compiti richiesti dal dio, pensavo io che sono ingenua e mi faccio fregare sempre da tutti, extraterrestri, animali o forme geometriche che siano) ma, proprio in quel momento...le loro facce si trasformavano, assumevano un'espressione terribile...e si precipitavano con una furia incredibile verso il basso, dove atterravano producendo una nuvola enorme di granelli di sale bianchi bianchi, che, si capiva (il collegamento è ovvio, come non pensarci) avrebbe avvolto il dio del cielo e lo avrebbe distrutto.
Tiè.

Proprio in quel momento, mentre mi pregustavo la scena epica in cui il dio del cielo sarebbe stato sciolto o non so cosa dal sale dei pallini gialli, nel momento subito prima della comprensione, quando la mente è tutta tesa ad assaporare il gusto della scoperta...ho cominciato ad avvertire un suono alieno, inadatto, e mi sono chiesta: ma che davvero ho lasciato il cellulare acceso in un momento così epico? Davvero sono stata così indelicata?
...Ma poi ho capito che il suono era più reale dei pallini gialli, che la vita vera era quella a cui si riferiva la sveglia e che toccava lasciare questo paradiso di giustizia per andare a fare colazione.

Stasera mi vado a comprare le M&Ms e faccio loro un altarino.

sabato 20 febbraio 2010

In memory of Gregorio

This post is dedicated to the memory of a great soul, Gregorio's one, and to the meanness of a human being, me.

Yesterday I had a very nice dinner with my italian-spanish-french friends: we went to an indian restaurant, whose look was very suggestive and whose food was great (heavy, but great).
In my infinite ingenuousness, while we were organizing the night - ok, actually all the organization was devolved upon the nicest french in the world, Morgan-Morganizator-Moranisor - my only doubt was about the spices present in the food, because I really don't like some of them and I want to avoid with all my energies that some of that seeds of cilantro, cumino etc enters in my mouth.
What a stupid woman I am (to say simultaneously "stupid" and "woman" is redundant, I know)!
I was so occupied in worrying about spices, that neither for one moment I consider the possibility that, instead of strange, exotic seeds, I was eating...an insect! A black insect, with a lot of legs and with a terrible look.
At the very beginning, while having my icecream, I tasted something very bitter, and I started complaining about having eaten something like a piece of plastic or something like that.
After some other spoon of icecream, I noticed a black object in the cup, so I recovered it and removed all the residual icecream on it. And at that very point, I understood how ingenuous I was in spending my time after spice-related problems, while I should have rather concentrated on the presence of animals inside my food.

After that incredible discovery, I showed it to my friends whit a disgusted look, but some of them - probably one more sensible than me to all the wonderful forms that the life can assume on this earth - explained me that that being I was looking at with such a bad face was Gregorio, that it had a life and that probably I ate, some minutes before, one of its best friends. No! It was even worse: probably I ate its girlfriend/wife, with which it was doing their honeymoon in Paris! Probably in the very same moment that the spoon captured one of them to take it to my mouth, they were planning their life together: having some kids, buying a home and, why not?, renting a camper to travel all around the world. The situation was collapsing. It was a real drama.
I felt guilty, insensible and really wretch: in front of such a tragedy I was only able to say: che schifo*!



* in italian: it is disgusting!

giovedì 11 febbraio 2010

a love story

È proprio vero che paris è la città dell'amore.
Pensavamo che laura fosse venuta per rilassarsi, per vedere le sue care amiche, per fare shopping o visitare la tour eiffel e invece no, era tutto scritto nel destino, le forze cosmiche già cooperavano per realizzare il loro disegno amoroso, sfruttando noi povere ingenuee, vittime della stupida illusione del libero arbitrio, per attuare i loro porci comodi.
La terra tutta ha girato in questi ultimi mesi per far incontrare, in una fredda domenica invernale di paris - anzi, no, di thiais, piccolo paesino a sud della capitale, che ospita una delle tante istanze terrestri di ikea (non mi sento di escludere che essa esista anche sul pianeta degli alieni) - ben e juliette, destinati ad un amore profondo e ad un futuro di passione in questo mondo complicato e sottosopra.
Qualche insensato definirebbe ben una pupazza, un inutile pezzo di stoffa pieno di altrettanto inutili pezzi di gommapiuma - guardate che sto rischiando la vita dicendo queste cose, quindi abbiate il buon gusto di seguirmi e di figurarvi con attenzione tutto ciò che vi descrivo - ma commetterebbe un grosso errore. Ben è una bellissima giraffina di pelouche di ikea (ci vedete insieme in una delle foto in basso), e ha dentro di sé un mondo pieno ed insospettabile.
L'ho incontrato per la prima volta da ikea, in un cestone pieno di tanti suoi simili: ci siamo visti, ci siamo piaciuti - si sa come vanno queste cose - e ho deciso di comprare il suo cuore. A dire la verità lui e il suddetto cuore erano dati via con lo sconto, ma questo non sminuisce la passione che mi ha spinto e ciò che dopo è nato tra noi.
Proprio mentre io conquistavo/acquistavo ben, laura ha fatto altrettanto con juliette, che però - le è stato chiaro fin dall'inizio - il destino non aveva destinato a lei ma alla nostra amica e compagna di avventure ilaria; laura, da donna di mondo qual è, si è adeguata al suo ruolo di intermediaria e, senza storie o drammoni, ha portato juliette a quest'ultima.
Il resto lo potete immaginare: quando ci siamo ritrovate tutte e tre da starbucks e ila ha tirato fuori dalla busta juliette, eccola là che ben - che tenevo tra le braccia - si è subito scosso, smosso, turbato, e alla di lei vista la sua vista si è annebbiata ed è caduto a terra vittima dell'emozione.

Che bella storia!

Sì, ma non è tutto. Il dettaglio numero uno è: perché la giraffina si chiama ben? Chi mi frequenta in questo periodo sa del drammone che è in corso dentro di me, per cui, per la prima volta in vita mia, mi trovo a subire il fascino di un cattivo. Tutto è cominciato quando, sotto natale, i miei cari amichetti hanno creato una pressione psicologica ed una tale curiosità in me riguardo alla fortunata serie lost, che, tornata a parigi, ho cominciato a vedermela. Dopo qualche inciampo iniziale dovuto alla mia paura di trovarmi di nuovo intrappolata nel complotto alieno, mi sono fatta prendere dai casi di quei poracci e...mi sono invaghita del loro nemico numero uno, benjamin linus: si prende gioco di loro, li manipola, ha fatto fuori un bel po' di gente ma...è il mio eroe! Lo trovo bello, affascinante, interessante e dolce. Dirò di più: guardandolo intuisco il passato profondo e avvincente che ha dietro, e mi faccio avvolgere dal suo fascino e dagli intriganti ammiccamenti del suo vissuto.
Il caso - meglio: gli sceneggiatori di lost - vuole/vogliono che ben sia innamorato di tale juliet, per la quale una sera ha preparato un arrosto fantastico, e con la quale è dolce e premuroso, tanto da ammazzare gli altri suoi spasimanti e averla intrappolata lì con lui per tre anni. Insomma, un uomo da sposare.
Non capisco proprio perché le mie amiche femmine - laura in particolare - non supportino questa mia passione. Oltretutto, ben è raffinato, acculturato, suona il pianoforte, cita uomini e topi a memoria e accoglie le donne con i fiori. Non venite a dirmi che è poco.
Va be', nel frattempo ammazza gente e manipola innocenti, ma si sa che queste cose possono capitare, in una relazione amorosa.
Insomma, ho deciso di celebrarlo con la giraffina, e subito essa è diventata la mia versione personale di ben, con tutti i suoi poteri e le sue capacità.
Mentre, al tavolino di starbucks, discutevamo con ilaria il nome della sua giraffa, questa, sentita la nostra storia riguardo all'origine del nome ben, si è subito dimostrata entusiasta all'idea di chiamarla juliette (ha voluto francesizzare juliet): probabilmene ha capito che non è il caso di contrariare ben e ha accettato di buon grado il battesimo.
I due si sono fidanzati immediatamente, e tutto sarebbe stato perfetto se solo ilaria non avesse pensato bene di rompere l'idillio dicendo seduta stante che quello sarebbe stato un fidanzamento in bianco.
Al suono spinoso di queste parole ben, da uomo che sa stare al mondo, ha chiesto la mano di juliette. Questa ha accettato, tra la grande emozione di entrambi e di me, ilaria, e laura, che in fondo siamo mamme e madrine dei due piccioncini (che schifo, ho nominato i piccioni) e che abbiamo a fatica mascherato la commozione.

Come ci insegnano la storia e la vita, però, non ogni aspetto delle cose può essere semplice, e l'ostacolo principale che intravedo nei prossimi, felici mesi di preparativi è il pessimo carattere di ben.
Per quanto riguarda me, a dire il vero, non ho grandi problemi: ben mi vuole bene e sa che mai gli mancherei di rispetto. Chi veramente scherza col fuoco è laura, che si ostina a maltrattarlo e a diffamarlo, per giunta davanti a estranei.
Facciamo un esempio e mettiamo a tacere ogni scetticismo. Domenica sera, mentre ci accingevamo con laura a guardare una puntata di lost, questa ha pensato bene di farmi trovare ben incastrato a testa in giù sulla testiera del letto. Le toglieva spazio, ha detto.
A nulla è valsa la mia corsa frenetica per liberarlo e per ristabilire la distribuzione spaziale delle sue stoffe e della sua gommapiuma: il danno ormai era fatto e ben si era segnato tutto.
Il giorno dopo, guarda un po', laura aveva l'aereo alle sette di mattina, e si è quindi alzata alle 4:45 per essere in tempo ad orly.
È uscita nel freddo di parigi, ha corso per prendere il bus, è arrivata alle 6:15 nell'aeroporto abbandonato dell'alba e...ha scoperto che il volo era in ritardo e che sarebbe partito alle dieci. Alé.
Qualcosa mi dice che la prossima volta terrà le mani a posto.

Per il resto, nonostante l'entusiasmo e la felicità in vista del lieto evento, nei prossimi mesi ilaria ed io saremo molto indaffarate con l'organizzazione del matrimonio del secolo, e verremo senz'altro sottoposte ad un forte stress mentale ed emotivo: ben è esigente ed ogni dettaglio è importante, e né lei né io abbiamo intenzione di fare una brutta fine perché, che so, scegliamo i tovagliolini del colore sbagliato o il salmone arriva freddo in tavola.

lunedì 1 febbraio 2010

why "capricci"? - silvia's too many whims

As usual it is a pecorella’s fault.
I had it by chance after a series of incredible genetic combinations more or less 31 years ago, and since then it is affecting my everyday life in an unpredictable way.
Uh, you’re right, I have to introduce it: “la pecorella” – literally, in italian, the little sheep – are my curly hair. Now that I have to introduce it – definetively for the first time in such an official way – I find natural to investigate on the origin of this name . I know for sure that at the elementary school my hair were just my hair, while I can state that at the high-school my hair were no more my hair but they were “la pecorella”. If I should bet some money on it, I would say that the “ego te baptizo pecorella” dates to the rehearses of “Così è se vi pare” of our high-school drama company, during the first year, in the spring of anno domini 1994. I wonder if some of my old friends can remember some further detail…However, it is quite easy to imagine how a poor girl with a lot of overwhelming curlies as I was, grew up on the soundtracks of the well-know singsong “Ogni riccio un capriccio” (in english: one whim for every curly). Let’s add to it a nature not so…accomodating (euphemisms at the limit of the lie are admitted in the blogs, aren’t they?) and here I am, trying to find a title for this blog (actually, what is it? A diary? An enviroment to share feelings, ideas etc?), and concluding that the best synthesis that appears in my mind – place that has always been under the little sheep jurisdiction, that warm it and protect it since it was born – it is definitively “capricci”, whims.

Capricious??!?! Am I capricious?? Me????

Ok, ok, before a crowd of ex-boyfriends will rise up to defend the concrete, I stop pretending to be upset with this insinuation and I admit it at once: I am capricious. Nomina sunt consequentia rerum, even if, following this sentence, it would rather seem that the curlies are consequences of things, but then we should be sure that, in the genetic mechanisms that gave life to this wonderful piece of woman (???), the whim-dedicated gene was defined before the curly-devoted one, as if the microscopic dynamics assigned to the structuration of the tricological character, having noted that the chemistry of the behaviour-controlling genes gave birth to a quite complex personality, always argumenting, touchy and unpleasant, rearrange them peremptorily inserting the tac-tgc-gca sequence – or whatever it is – corresponding to curly hair. And putting a sheep on my head.

But what is a whim?
I have no idea about its psycological/psychiatric definition, but during last years, analysing myself, I learnt to understand what a whim is for me. I found the mechanism at its basis.

At the very beginning there is a desire. Not a simple desire, but a desire regarding even other people. I find myself desiring to live something with someone, where “to live” and “something” can assume a lot of various forms: to live can be to do, to give, to get, to share, and something can be an offert, an evening, a promise, a journey. I feel that this desire should be not only mine, but even of the other person involved in the business, and I start to think that, reasonably, my partner will cooperate with me to realize this impulse. The crucial point is that this cooperation must be spontaneous. If, by chance, the situation si different, what can I do is trying to give some indication, suggest to the other person what I would hope that he/she finds inside him/her. In the unlikely case, however, that my “suggesting” goes beyond a certain threshold, situation collapses and the whim arrives. And the reason is because I cannot find any spontaneity in the choice, and even if the partner, in the end, starts its way towards our shared desire, I feel some desease. In few words: I do not want it anymore. I don’t like it anymore.

This is the reason why the balancing between seconding a desire and the evaluation of the efforts that is reasonable to do to accomplish it is a very delicate mechanism, that has to be operated cautiously and being perfectly aware of the consequences that every step of the process will generate.

The best schematization of it is the sentence that, very often, people addressed to me: how did it happen? You wanted it so strongly and now… you do not want it anymore?

Yes, exactly. But it’s my fault.

Growing old, with the adulthood, I understood that insistence is not for me. Some friends tell that I am too proud. It is partially true, but in the very last months I understood that pride is nothing but a kind of defence from disappointments. If someone begs me, indeed, to have something, it clearly means that he really cares for it, and that probably my desire, my effort – in the case I will consent to give it – will be well invested. Pride hides no superiority: it is just instinct of self-preservation. Funny enough, as soon as I identified this mechanism, I stopped being so proud. Yes, I know: a psychologist would say that it is not strange at all…

Not so proud anymore, but I am still doing whims. I will always do whims. Probably when I will have children I will stop, because then – if between the other aspects they will inherit the little sheep, my curly hair – they will have the duty of doing whims, and I will interpret the role of the gentle mother that second those very same whims, that understand and recognize them, and it will touch myself. It will be wonderful.

post scriptum The queen of my balcony, during this december in paris, is without any doubt ornella, the snapdragon. I took it at the old flower market close to notre-dame when it was just a tuft in a bad shape, but month by month it grew up impressively, increasing its dimension and producing dozens of wonderful flowers red and white. In spite of my heart full of joy for its happiness and health, I cannot help me in wondering how the hell it is possible to continue flowering even in december, when we are in the real winter and temperatures are really low. This occurrence made me think, so I started studying the botany of this plant in order to better understand it and shed a light on this strange circumstance. Among the various investigations, I found out that snapdragons, in the flower language, represent the flower of the…whimp! I was astonished. In the middle-age young ladies wore them in their hair in order to repel undesired admirers. To give this flower as a gift, then, means indifference.

And if my flowers understood my nature more than I understood theirs?!

two blogs or not two blogs, that is the question...

...and shakespeare will forgive me if I borrow the question of his guy, Hamlet - it is the mother of all the questions, actually: but this is a very important blog (ahahah), with an international target (ahaahahhaha), so at least we have to quote THE QUESTION...and, in case, I don't like shakespeare too much, so if he will be offended by this and will decide to break our friendship I will survive - to share with my friends the drama acting inside me in these days, while I have to decide how to manage this multi-language world where some people speaks english, someone italian, someone french and someone - it sounds incredible, I know - even...icelandic! Reading-this-blog-right-now-icelandic-people, please do not rise up! I am joking!

In any case, this occurrence of linguistic multiplicity is a real disaster.

This urgency to chat and to talk and to write cannot be confined in one single language anymore, so I decided to write my blog also in english. That's not all, don't be hasty. The point is: should I open a new blog? Should I add an english version just at the bottom of every post?
I do not know.
It is not easy to keep the atmosphere inside a post translating it to a different language, so probably I should only check in which language I wake up in the morning, which are the phonemes that better describe my feeling and my life of that very same day, and then use it to write my post.
However, I am not sure.
Probably my whole life will be not enough to take a decision.

In the meantime I translated my first post, "why capricci" (capricci: whims), the one introducing my blog: let us post it and see what happens.

Ciao a tutti, fate i bravi. (I am not traslating this last sentence. It is a secret code between italians... No, I am joking, it is nothing serious.)

venerdì 29 gennaio 2010

pokezza femminile

E con questo non intendo né convertirmi al tristissimo linguaggio adolescenziale, dove il povero fonema "ch" viene reso con una lettera che, per quanto ne sa l'alfabeto italiano, neanche esiste, né riferirmi alla superficialità femminile, che spesso si traduce in gusti, passatempi e discorsi effimeri e vani.
Mi riferisco alla nuova forma di interazione umana elaborata da facebook, ovvero il poking, consistente nel premere un pulsantino che, immediatamente, produce la comparsa di una manina che ci batte la spalla - virtualmente, è chiaro - e ci fa ricordare che quel nostro amico esiste, ci pensa etc. Insomma, credo che sia l'evoluzione informatica di quello che una volta erano gli squilletti al telefonino, attraverso cui tanti giovani si dicevano che ognuno ricordava l'altro, non l'aveva dimenticato nelle ultime quattro ore e vivevano tutti felici e contenti. Quante amicizie sono state alimentate da queste attenzioni (per cui, ahimé, capisco di essere già troppo vecchia)!
Insomma, nonostante sia vissuta serena per un paio d'anni senza necessità di pokaggi vari - ne ho avuto solo una breve esperienza che non sto qui a raccontare - l'altro giorno, essendo inserita in modo coatto in uno scambio di mail tra le mie amiche laura, silvia m e ilaria, mi sono ritrovata all'interno di una guerra dei poke che adesso non mi lascia vivere serena e che si è andata ad aggiungere alle già pesanti incombenze idrauliche della settimana che sta finendo proprio in queste ore.
Concedo questo scorcio di interazione femminile perché vorrei far capire agli amici maschi (i quali trovano sempre da ridire sulle difficoltà di interagire con le donne, sulla impossibilità di prevederne reazioni o pensieri e sulla mancanza di quiete che caratterizza ogni avvicinamento ad una di esse) che, per quanto complicato possa essere realizzare un sereno equilibrio di coppia se, all'interno di essa, è presente almeno un elemento di genere femminile, le interazioni tra gruppi di femmine sono ben più spietati e, in confronto ai miseri screzi maschio-femmina, si avvicinano, per entità e complessità, a vere e proprie lotte tra titani.
Insomma, manco tra noi noi femmine riusciamo a vivere serene.
Il caso ha voluto che, qualche mese fa (loro non lo sanno ma io ho ricostruito attentamente tutta la genesi della vicenda), la nostra amica silvia m abbia chiesto, su facebook: ma che cosa vuol dire to poke?
Al che ilaria - incoscientemente presentata a silvia m da laura, con l'effetto di produrre una miscela esplosiva di femmine che, se erano difficili da gestire una per una, in coppia sono davvero insopportabili - si è subito sacrificata e proposta per sperimentare la funzione, pokando silvia e producendo l'effetto descritto sopra.
Ingenua come sono, pensavo che la cosa fosse finita lì, e invece proprio pochi giorni fa, finendo disgraziatamente in questo giro di mail con minacce di pokaggi vari, ho scoperto che per le mie compagne tanto felice era stata l'esperienza del primo poking che hanno pensato bene ti continuare a pokarsi da allora, senza smettere mai.
Capito in che guaio ero stata infilata ho parlato con laura, la più saggia delle tre, la quale mi ha spiegato che il punto è ripokarsi in continuazione non appena ci si trova pokate da una delle partecipanti. E va be', ce la potevo fare. Falso!!! Non appena mi sono loggata su facebook mi sono trovata pokata da tutte e tre le disgraziate, e a quel punto, sommersa da quel mare di manine adducenti, ho chiesto a laura se ero morta; insomma, se mi ero fatta ammazzare subito. Che ne so, ho pensato che se uno si trovava pokato da tutti simultaneamente moriva e finiva il gioco. Invece no, menomale.
Allora mi sono detta che finché c'è vita c'è speranza e le ho pokate a mia volta.

Il punto è che, in questo scambio di pokezze, si traducono disagi, malumori e arrabbiature provenienti dai pià svariati ambiti dell'esistenza.
Il caso vuole, infatti, che laura venga su a parigi il prossimo fine settimana, il che vuol dire che passeremo insieme un bel weekend lei, io e ilaria. E silvia m dove la mettiamo?
Drammone di silvia m che si sente esclusa, e che freme al pensiero che noi staremo qui tutte insieme senza di lei e NON LA PENSEREMO e anzi, se ci andrà, NE PARLEREMO PURE UN PO' MALE!
Ovviamente silvia m sarebbe la benvenuta qui con noi, ma immagino che abbia impicci lavorativi e non possa allontanarsi da terni.
Questo ci giustifica e ci porta ad una assoluzione? Assolutamente no! Dato che silvia m non poteva venire avremmo dovuto avere il buon gusto di starcene ognuna per conto proprio, chiuse dentro casa, meglio se piangendo e maledicendo il destino crudele che ci fa stare tanto lontane da silvia m.
Ecco, credo che questo avrebbe lasciato silvia m tranquilla.
La cosa più drammatica è che quasi quasi io mi sento in colpa sul serio!
Va be', se mai silvia m si arrabbierà le dirò che mi ha fatto tanto soffrire scoprire che loro giocavano a pokarsi già da mesi e nessuna di loro ha sentito l'esigenza di coinvolgermi, di far entrare la loro amichetta silvia p nel poking business e di condividere con me un tanto gioioso passatempo.
Ilaria e laura se la vedranno per conto loro: non so come potranno giustificare tanta indelicatezza nei confronti di silvia m, che dicevano essere loro amica.

Questo per dire che la vita tra femmine è un casino. Pure tra femmine belle, simpatiche, intelligenti e spiritose come, guarda un po', siamo io e tutte le mie amiche che, nonostante la prossimità ai picchi della civilizzazione e del buon senso, sempre donne rimaniamo e quindi siamo stressanti in primis con noi stesse.

Ora torno a controllare la situazione del pokaggio su facebook, perché stamattina già sono stata attaccata da ilaria s (ma ho risposto prontamente all'attacco!) e non vorrei aver già subito altri attacchi da silvia m e laura.

Si preannuncia un weekend faticoso.

giovedì 28 gennaio 2010

tra le goccioline

Lo dirò subito, questa è una storia a lieto fine.
Preferisco specificarlo in anticipo perché non vorrei che alcuni dei lettori, presi dallo sconforto nel sentire narrate vicende tanto inquietanti, rinunciassero ad arrivare fino in fondo preferendo non sapere che fine ha fatto la loro amichetta silvia, ragazza tanto cara prima che affogasse nelle acque calcaree di casa sua.

Che amarezza svegliarsi una mattina con un forte giramento di testa, nausea e mal di stomaco, e finire col piedino - protetto solo da una inefficace pantofolina di ikea - nel nuovo laghetto nato nottetempo tra il termosifone accanto alla finestra e il mobile tv del monolocale!
Che brutto constatare che la geografia della nostra casa è cambiata, e lì dove c'erano pianure sorgono ora laghi, mentre, forse, nuove montagne si creano tra i legni del parquet che tanto amavano e che ci piacevano un sacco così com'erano!
Che fatica fare avanti e indietro dal bagno per asciugare litri e litri d'acqua, con la nausea che nel frattempo è peggiorata e ci rende ancor più estenuante la già estenuante operazione di asciugatura!
...Ma che soddisfazione far entrare in casa l'idraulico e sentirlo complimentarsi per l'ingegnoso sistema di scolo messo su (sotto consiglio di paoletto) per indirizzare la perdita verso un adeguato recipiente!
Insomma, esco da una pesantissima settimana di convivenza con le goccioline del termosifone, che cadevano giù dal rubinetto di quest'ultimo e che sono andate vicine ad avere la meglio su di me.
Lo strazio di questo ticchettio - che, come mi ha fatto notare oggi luisa al telefono, evoca il linguaggio alieno e quindi è già di per sé malvagio - mi ha accompagnato notte e giorno da sabato scorso, impedendomi di andare tranquilla al lavoro o di dormire la notte senza la paura che mi sarei risvegliata, l'indomani, con una geografia ancora nuova dentro casa.
Per fortuna oggi l'idraulico, bontà sua, si è degnato di venire a riparare la perdita, dopo che ieri mi ha dato buca per oscuri motivi e mi ha costretto ad un'altra notte di convivenza con le goccioline.
Per sopravvivere alla presenza acquatica coatta sabato, alle due del mattino, ho dovuto seguire il consiglio di paoletto, che mi suggeriva di controllare il ticchettio collegando la zona di formazione della gocciolina ad un pezzo di filo per cucire, e facendo scendere quest'ultimo giù giù fino al recipiente dove raccoglievo l'acqua. Questa scelta si è rivelata particolarmente felice non solo perché ha evitato il tic tic notturno - o quantomeno lo ha attutito - ma soprattutto perché, permettendomi di reindirizzare la caduta delle goccioline verso il secchio grande del mocho vileda, mi ha concesso una autonomia di una decina di ore tra uno svuotamento e l'altro del recipiente, e non solo di poche ore come sarebbe stato con l'unica ciotola che entrava sotto il termosifone.
Gli ultimi due giorni la situazione è stata ancora più drammatica, perché la gocciolina ha partorito e ha prodotto una gocciolina figlia proprio accanto a sé. Quest'ultima, nonostante la tenera età, si è dimostrata capacissima di ripetere le azioni infestanti della mamma, e si è messa a gocciolare allegramente dal bullone accanto al rubinetto di controllo. Il nuovo arrivo ha richiesto quindi la creazione di un secondo sistema di scolo, posizionato accanto al primo, che per fortuna si è rivelato altrettanto efficace.

Va detto che la sfortunata occorrenza ha avuto l'effetto positivo di farmi capire la vera natura di alcuni oggetti che avevo dentro casa.
Il secchio del mocho non è il secchio del mocho, ma un raccogli-goccioline-ad-alta-capienza, grazie al quale la durata dei miei sonni è stata mantenuta su valori accettabili, senza subire l'assalto di improbabili sveglie per svuotare le ciotoline poco capienti.
Il filo da cucire non è filo da cucire, e la sua natura non è quella di reggitore-di-lembi-di-vestiti-tagliati, ma è una guida-per-goccioline-che-tentano-di-costruirsi-una-nuova-vita-al-di-fuori-del-termosifone!
Ma soprattutto (e qui la gioia è stata massima): la strana mattonella gialla a forma di disco con il pesce sopra, che avevo comprato a genova l'anno scorso senza sapere che cosa fosse - ho passato un anno a trattarla come poggia-macchinetta-del-caffè-bollente, che scema! - in realtà non è altro che un reggi-fili-attraversati-da-goccioline-nel-secchio-pieno-d'acqua!
Che bello aver capito in profondità la natura di questi curiosi oggetti che tenevo in casa: è proprio vero che spesso siamo superficiali nel giudicare ciò che abbiamo davanti.

Voglio chiudere questo post con una nota di ottimismo, confessandovi che non tutti gli abitanti di casa mia sono stati scossi da questo drammone idraulico. Qualcuno è stato anche felice.
Parlo della mia orchidea caterina che, tratta in inganno dalla fortissima umidità che lo sgocciolare continuo ha prodotto nel nostro piccolo appartamento, ha creduto che, in questo curioso stralcio di amazzonia nel cuore di parigi in cui si trova a vivere, fosse arrivato il periodo delle piogge, e ha cominciato quindi a fare i getti nuovi. Che bellezza, non vedo l'ora che fiorisca di nuovo! Produce dei fiori così incantevoli, quando ci si mette, che rendono accettabile ogni pena idraulica o climatica patita. La mia tosse non è d'accordo, ma pazienza: domani comprerò lo sciroppo.

lunedì 25 gennaio 2010

au musée d'orsay

C'è poco da fare, ogni volta che entro nel museo d'orsay mi riconcilio con il mondo.
Dirò di più, mi riconcilio con l'universo, e con questo intendo dire che la riconciliazione contempla non solo gli abitanti del pianeta terra, ma anche eventuali abitanti di pianeti extraterrestri, qualunque sia la loro forma, ovina o no.
Ieri sono stata a vedere la mostra sull'art nouveau: bella ma non entusiasmante, se non fosse per un water a forma di mosca che ha catturato l'attenzione di tutti gli astanti, e ha portato la mia mente a inquietanti interrogativi sul suo utilizzo che non starò qui a condividere con voi per spirito, come dire, di discrezione.
Sebbene la mostra non fosse nulla di che, a renderla speciale c'era il contenitore in cui era situata, ovvero la splendida ex-stazione che oggi funge da museo e che raccoglie i capolavori dell'impressionismo e di parte del novecento (van gogh, gauguin). Quando sono lì mi sento felice, non trovo altro modo per esprimere ciò che provo: è come una gioia del caffè senza caffè. C'è un'atmosfera, un senso di bellezza così coinvolgente che difficilmente riesce ad essere piegato dai dispiaceri quotidiani che sicuramente gli avventori del museo si portano dentro. Ogni creatura umana dotata di un minimo di sensibilità nell'avvertire il mondo deve rimanere folgorata dalla circostanza - contingente quanto predeterminata da una precisa volontà: oggi vado al museo - di trovarsi in mezzo a quei capolavori.
Primo tra tutti, per quanto mi riguarda, il bal au moulin de la galette di renoir. Per quanto ne so ora che ho trent'anni, è il quadro che amo di più al mondo (non so se sarà ancora così quando sarò una pecorella quarantenne, ma se gli alieni non mi rapiscono nel frattempo prometto che vi farò sapere).
Ieri ho passato venti minuti buoni a rimirarlo e, come ogni volta che me lo trovo davanti, ho scoperto dettagli nuovi che prima non avevo notato. In particolare, ho fatto caso alla testa bionda di una bimba che spunta sul lato destro della tela, e che, a discapito dei suoi vicini che guardano incuriositi verso est, guarda dinnanzi a sé, verso il nostro spazio, e chissà che cosa pensa.
Tra l'altro quel gruppo di persone che volgono lo sguardo verso un punto indefinito e per noi che guardiamo loro, ahimé, inaccessibile, è uno degli interrogativi che mi accompagna e che sempre mi accompagnerà quando penso a renoir, no, di più, quando penso alla pittura in generale e, perché no, all'intero millennio passato e a ciò che ci ha lasciato.
Ci sono poi i ballerini, che chiaramente citano quelle altre coppie che danzano in città e in campagna: a me piace pensare che siano proprio quei ballerini campagnoli che, in un giorno di primavera, hanno deciso di prender parte alla festa del mulino.
A proposito di questi ultimi, le indegne inservienti del museo ieri mi hanno riservato un gran brutto dispiacere.
Il caso vuole che di questi tempi il museo d'orsay sia in fase di restauro, così che le opere esposte nei piani alti - impressionismo, post-impressionismo, van gogh etc - siano state redistribuite al piano terra, tra le ali destra e sinistra del museo.
Data questa redistribuzione, ed essendo ieri la prima volta che tornavo al museo dopo questi cambiamenti, non ero più al corrente della dislocazione delle varie opere, e ho dovuto pertanto riscoprirla. Il punto è che non riuscivo a trovare alcune delle opere più belle di renoir: a parte la danse à la ville e la danse à la campagne, non mi ero ancora imbattuta neanche ne la balançoire, l'altalena, l'unico vero antagonista al bal au moulin nel possesso del mio cuore.
Dispiaciuta per questo mio personale fallimento, e ferita nel mio pessimo orgoglio che mi impedisce di chiedere ai commessi dove sono i libri nelle librerie o i quadri nei musei - devo essere in grado di scovarli da me! - sono andata da una delle signorine che controllavano il museo e le ho chiesto dove potessi trovare quei quadri, dato che non riuscivo ad individuarne la posizione dopo lo spostamento dal quinto piano, e se erano presenti o meno nell'esposizione.
Questa mi ha guardato un po' interdetta, poi mi ha detto: renoir è qui, controlla da queste parti, come se stesse parlando con un'avventrice casuale di un negozio di abbigliamento la quale avesse chiesto se era disponibile quella giacca jeans taglia m vista l'altro giorno, e le stesse rispondendo: quello che c'è è tutto esposto, se non la vede vuol dire che è terminata.
Se c'è è qui altrimenti manca??? Ma come è possibile che non sappia dove siano quei quadri???
Alla mia espressione perplessa si è sentita di argomentare giustificando la sua ignoranza col fatto che i musei spesso prestano i quadri e che forse quelli non erano ancora rientrati. Mi ha detto che c'era stata una mostra a gran palais e che forse i quadri erano lì...Sì, le ho risposto, la mostra c'era stata ed era pure finita, ma lì erano presenti solo i due balli e non la balançoire, quindi questo non risolveva il mistero. Mistero secondo solo a quell'altro mistero, ben più grande e dalle conseguenze più scoraggianti, per cui una maschera di uno dei più importanti musei del mondo non sappia se sono presenti o meno tre tra i quadri più prestigiosi che la locale collezione vanta.
Sic.
Mi sono rassegnata e, dato che dei quadri non c'era traccia, sono rimasta a contemplare il ballo al mulino de la galette. Ogni volta che me lo trovo davanti avverto un curioso senso di riconoscimento, e mi sembra quasi di reincontrare un vecchio amico, tanto che mi verrebbe da chiedergli come sta, che cosa ha fatto a natale, se ha festeggiato l'anno nuovo con qualche monet o se è rimasto in famiglia (difficile, visto che tre dei suoi parenti sono spariti misteriosamente dal museo) etc. Questo senso di familiarità mi emoziona sempre molto: forse è la sensazione più bella che provo quando ce l'ho davanti, e credo che in realtà non sia altro che una forma della gratitudine per questa presenza formidabile, che si converte in consuetudine e riconoscimento per farsi più umana e più fruibile alla mia anima.
Purtroppo durante questa contemplazione estasiata non sono mancati i dispiaceri: un buon settanta per cento dei passanti si fermava, buttava un occhio e diceva: uh, guarda, questo è monet!
NO NO E POI NO!! Non è monet, è renoir!
Mi dispiace, a furia di sentire decantata questa ammirazione - spesso, ahimé, basata più sulla familiarità del nome che su basi estetico-artistiche - per monet, questi è cominciato a starmi antipatico. Bravissimo, per carità: ma renoir è superiore. E chi vuole litigare con me per questa mia affermazione faccia pure, sono pronta.
Insomma, un branco di bifolchi che neanche si sprecavano a leggere il cartellino per controllare la paternità dell'opera.

Nonostante tutto questo renoir e la bellezza della sua pittura ci ha redenti dai nostri peccati di tracotanza, presunzione e ignoranza, e ci ha purificati dai nostri errori con le espressioni umanissime che dona ai suoi personaggi e con l'uso sapiente che fa del bianco. Solo nelle sue opere mi sembra di scorgere dei bagliori veri: ogni volta che arrivo nell'ala del museo che lo contiene e, senza rendermene conto, cominciano ad entrare nel mio campo visivo le sue opere, ho come la sensazione di percepire dei bagliori, e mi sembra quasi che ci siano, sulla tela, schegge riflettenti che deviano la luce delle lampade verso il mio sguardo. In realtà è solo renoir che ha capito del bianco e del suo utilizzo qualcosa che noi non sappiamo.

Mentre me ne andavo, riflettevo sul fatto che varrebbe la pena farsi tre ore di treno per passare anche solo un minuto ad ammirare quel quadro. No, di più: varrebbe la pena farsi tre ore di volo, o anche un volo intercontinentale, o anche...costruire un'astronave, partire da vega, parcheggiare su una chiatta sulla senna e venire a contemplare tanta bellezza. Parlo con voi, signori alieni: anziché fare i cretini con i vostri test e sciupare il vostro tempo a meditare attacchi alla terra o primi contatti che mi coinvolgano - per non parlare dei biechi mezzucci sfociati nei travestimenti da pecorelle - perché non venite al museo d'orsay a vedere renoir e ve ne state zitti e muti e, una volta tanto, abbozzate?
Mentre camminavo via dal museo e correvo verso la fermata del 68 che mi aspettava lungo la senna, pensavo che dopo tanta gioiosa contemplazione anche le paure e i rammarici più profondi che sento in me mi sembravano attutiti, e meditavo sul fatto che in quel momento non avrei avuto paura né di gestire interazioni aliene né di trovarmi ad interloquire con stormi di piccioni starnazzanti e rumorosi. Avrei azzittito i due insiemi funesti con uno sguardo, li avrei messi in fila davanti al bal au moulin de la galette, piccioni a sinistra e alieni a destra, possibilmente mano nella mano (meglio: mano-a-tre-dita nella zampetta picciona), e avrei mostrato loro di che cosa siamo capaci. E guai a chi pigola, tuba o fa ticchiettii fastidiosi. Zitti e muti. Questo avrebbe provato loro l'abilità umana e li avrebbe incitati al rispetto, ne sono sicura. Dopo, finalmente riappacificati e pieni di una nuova, inaspettata stima reciproca, ce ne saremmo andati tutti quanti insieme ad ubriacarci in qualche brasserie, chi con il becchime, chi con l'acido solforico e chi, come me, col succo di frutta, visto che sono astemia.

Ha ragione dostoevskij: la bellezza salverà il mondo.

domenica 17 gennaio 2010

alieni: ipotesi di collaborazione

Eccola là, non ho fatto in tempo a cliccare sul pulsantino "pubblica post" al termine del post precedente, alieni, che già mi sono resa conto di quanto affrettata sia stata la mia presa di posizione e il tono assolutista con il quale ho scartato ogni forma di ipotetica collaborazione con essi.
Cavolo, è proprio vero che nella vita non si può mai dire.
Stavo rispondendo ad alcuni commenti al link di "alieni" su facebook quando, improvvisamente, si è fatta strada nella mia mente un'ipotesi prima del tutto inesplorata, che ha divaricato orizzonti inimmaginabili di collaborazioni, amicizie e, perché no, affetti con i signori alieni.

E se gli alieni fossero pecorelle?

Tutti i miei cari sanno dell'innata passione che nutro per le principesse degli ovini - e spero che la frase precedente non comporti che ora finiranno sul mio blog tutti gli sporcaccioni che cercano su google siti porno a base di ipotetiche "pecorelle"...Nel caso, però, in cui qualcuno dei suddetti sporcaccioni si trovasse a passare da queste parti e avesse anche nozioni di scambismo, potrebbe avere la gentilezza di togliermi la curiosità dicendomi come si mangia nei locali di scambisti? Che tipo di cibo servono, se solo stuzzichini etc?! Grazie in anticipo - e capiscono che nell'improbabile (per quanto non impossibile) ipotesi che gli alieni siano in realtà delle pecorelle, allora tutto cambierebbe, e il mio atteggiamento nei confronti di questi adorabili battuffolini bianchi e profumati - stooooop! Guai a chi dice che le pecorelle puzzano. Siete solo dei cinici. - sarebbe di ben altro tenore. Fidatevi, lettori extraterrestri: la mia dispozione d'animo non sarebbe quella ostile e chiusa delineata nel post "alieni", ma sarebbe una felice apertura, ansia di vedervi, condividere con voi le esperienze dei nostri pianeti natali e commentare, che ne so, il clima degli ultimi mesi, il fatto che le mimose siano già fiorite a gennaio, il vostro fienopopoli locale con la conseguente inchiesta zoccoletti puliti e la fastidiosa ingerenza di quei fanatici degli agnelli sacrificali (supportati, ne sono certa, dai movimenti economico-religiosi che fanno capo ad essi) nella politica della vostra comunità; dico sul serio, avreste tutta la mia disponibilità, miei cari, dolci, affezionati amici alieni-pecorelle.

Ah, un secondo, però. Intendo che gli alieni dovrebbero essere pecorelle sul serio, non alieni-lupo maschierati da pecore solo per il gusto di ingannarmi e farmi cadere nelle loro trappole. Insomma, non vorrei trovarmi un giorno, mentre pascolo felice per prati fioriti con le mie nuove amiche, a dover soccorrere una di esse per una ferita e trovarmi dinnanzi una zampetta tagliata da cui gocciola sangue...verde. Scoprendo poi che tutta la fisiologia della mia presunta amica è in realtà sballata e che dentro quei candidi boccoli si cela la malizia aliena. Già lo so che a quel punto la creatura ferita si volterebbe di scatto verso di me e, al posto del musetto ovino, mi apparirebbe davanti la solita, fottuta faccia degli alieni di signs, verde e un po' lampeggiante, che mi guarda con occhi rossi. In tal caso si tornerebbe alla situazione del post precedente, io morirei di crepacuore etc, e quindi sarebbe stato tutto inutile sia per me che per voi, signori alieni. Inganno fallito.

L'ipotesi che sto vagliando, e che mi rende possibilista riguardo ad un futuro di relazioni aliene, è quella in cui essi non sono altro che pecorelle vere e proprie, come le conosciamo noi, con tutti i loro pregi - molti - e difetti - pochi.
Se questa fosse la realtà, allora sì che si potrebbero creare felici storie di amicizie, di collaborazioni, di aperitivi insieme dopo il lavoro per fare quattro chiacchiere e spettegolare un po'; potremmo passare qualche rilassata domenica pomeriggio fuori porta, loro a pascolare spensierate mentre io leggo un bel libro e mi beo del loro belare - pure il fonosimbolismo: ecco quanta poesia mi ispirano le pecorelle - e potremmo partecipare insieme a qualche sagra di paese, provando a vincere all'albero della cuccagna i resti di qualche loro sorella tramutata in cibo; potrebbero venire tutte insieme chez ginger a mangiare la pizza tesone e potrebbero essere a loro volta amiche di ginger, laura, francesco, luisa, perché chi vuole bene a me deve amare anche le mie amiche pecorelle-alieni.

Insomma, mai dire mai.

In definitiva, cari amici alieni, permettetemi di correggere il tiro del post precedente e dichiararmi favorevole ad accogliervi e a cooperare con voi SE E SOLO SE non siete altro che bellissime pecorelle, sviluppatevi e cresciute in un pianeta straniero per oscuri giochi della genetica e della statistica e arrivate sulla terra per riconciliarvi con le vostre cugine.
In ogni altra ipotesi vi rimando alle istruzioni illustrate nel post precedente.

(una che non sarà mai) vostra,

silvia

martedì 12 gennaio 2010

alieni

Chi mi conosce lo sa: il mio grande cruccio sono gli alieni.
Che ci posso fare, mi stanno antipatici e mi fanno paura.
Per carità, il giudizio - nella sua estrema infondatezza e vanità - è del tutto effimero e personale, ma è tremendamente radicato in me e non posso esimermi dall'esprimerlo.
Ciò che più mi turba, in realtà, è che gli alieni mi rapiscano a scopi di studio. Mi scoccerebbe un sacco. Porca la miseria, uno fa tanto per costruirsi una vita gradevole, interessante, densa di rapporti umani stimolanti e appaganti e poi - tac! - arrivano gli alieni, ti rapiscono e tutto finisce. (Tra l'altro, cari amici alieni, sappiate che se mi rapite fate una cosa due volte stupida: uno perché non ho alcuna intenzione di collaborare: sebbene capisca in profondità la vostra curiosità scientifica e la nobiltà, da un certo punto di vista, della vostra causa, il disappunto per il rapimento mi renderebbe davvero impercorribile una qualunque forma di cooperazione; due: tempo che mi rapite sono morta di crepacuore alla vostra vista, perciò l'unica funzione a cui potrei esservi utile è uno studio sull'anatomia umana. Già qualcosa, direte voi, ma secondo me il gioco non vale la candela.)

La mia posizione nei confronti degli alieni, comunque, non è stata sempre questa. Fino a qualche anno fa non mi preoccupavo troppo della vita extraterrestre e delle ripercussioni che questa poteva avere su di noi. Vivevo felice e spensierata e pensavo solo ai terrestri.
I miei rapporti con gli alieni si sono incrinati nell'estate del 2003, mentre ero al cunchele per riposare dopo la laurea e per preparare l'esame di dottorato. Meteorologicamente quella è stata l'estate più calda che si ricordi: a roma non era possibile sopravvivere, e anche su ad asiago il caldo era veramente forte, tanto che la notte si dormiva male e si sudava molto.
Proprio durante una di queste notti disturbate ho cominciato a sognarmi gli alieni: erano incubi davvero brutti, e mi svegliavo spesso di soprassalto col batticuore, senza riuscire a riprendere sonno per lo spavento. Ricordo ancora il primo sogno: ero nella casa a roma di silvia - la mia amichetta di terni (nonché cameriera di ronnie) che allora viveva lì- e ad un certo punto era chiaro che gli alieni stavano arrivando con intenzioni non pacifiche; noi non so che cosa facevamo, forse uscivamo sul terrazzo - stupide, così quelli ci potevano afferrare ancora meglio coi loro raggi traenti e trasportarci sull'astronave! - e poi ci mettevamo a parlare con la vicina del piano di sotto (personaggio di pura provenienza onirica: può anche darsi che silvia abitasse al primo piano). Il sogno finiva con noi che preparavamo la valigia o uno zainetto: probabilmente avevamo deciso di ottimizzare la situazione e volevamo quantomeno partire per il pianeta degli alieni preparate. Una vera signora si distingue soprattutto durante i rapimenti alieni.
A quel primo incubo ne sono seguiti altri durante i giorni successivi, tutti popolati da quei cavolo di alieni bianchicci (a quel tempo erano bianchi, mentre ora me li figuro verdi) e un po' bassetti, e ho passato un paio di settimane di grandissima agitazione notturna. Sarà stato lo stress per il dottorato, chissà.

Altra origine dei miei dispiaceri extraterrestri: il film "signs", con mel gibson, dove l'arrivo degli alieni è preannunciato dalla comparsa di strani simboli nei campi di grano.
Quegli alieni mi colpirono così tanto e mi fecero così paura che la loro morfologia - umanoidi di colore verde - e soprattutto il loro linguaggio (una specie di ticchettio, per me irriproducibile, che il mio affezionato amico francesco mi ripete in continuazione per appesantire le mie già pesanti preoccupazioni al riguardo), hanno preso il posto degli alieni bassi e bianchi dei primi incubi, ed ora per me l'istanza dell'alieno è proprio quella: una specie di umanoide alto e bitorzoluto, di colore verde, che parla a ticchettii.

Ho riflettuto molto su questa paura. Ovviamente è una risposta del tutto irrazionale in cui la mia mente incanala agitazioni, preoccupazioni e disagi che inevitabilmente popolano le nostre testoline, e ogni qual volta provi a razionalizzarla assaporo con un certo divertimento le peculiarità di questa mia scelta inconsapevole. Nel processo di razionalizzazione mi dico che, sebbene sia abbastanza convinta - attraverso un ragionamento puramente statistico - che la vita extraterrestre esista (anche se a tal proposito sarebbe necessaria una lunga riflessione sulla definizione di "vita"), credo che, qualora i nostri coinquilini sviluppassero una tecnologia e, soprattutto, una spinta conoscitiva tale da potere/volere esplorare lo spazio ed essere in grado di raggiungerci, allora sarebbero in grado di comprendere che ad ottimizzare il loro risultato sarebbe sicuramente una pacifica cooperazione con gli umani, al fine di stabilire un piano di studio reciproco che possa permettere un arricchimento culturale ad entrambe le specie.
Inoltre - sempre nell'ottica della massimizzazione del risultato - credo che gli alieni avrebbero il buon gusto di annunciarsi: potrebbero contattare, che so!, l'ONU, la CIA o qualunque altro organo sovranazionale o nazionale che possa fornire loro una adeguata interfaccia con la popolazione terrestre e, soprattutto, organizzare una ben strutturata cerimonia di benvenuto. Insomma, non mi interessa se vogliano venire per un mese, per anni, se vogliano cooperare e arricchirci culturalmente o approfittare di noi: l'importante è che si annuncino. Soprattutto non vorrei che venisse loro in mente di presentarsi un giorno a casa mia e chiedermi di mediare per loro con i terrestri: NO NO E POI NO. Io non voglio essere vostra intemediaria, signori alieni; non mi interessa la fama e l'appagamento intellettuale che questo comporterebbe, rinuncio ad ogni tipo di informazione diretta - mi accontenterò di quelle manovrate e reimpastate dei giornali - perciò non contate su di me. Anche perché morirei di crepacuore appena mi trovassi davanti uno di voi.
La statistica mi conforta, in fondo: perché dovrebbero scegliere proprio me?
A tal proposito ale mi prendeva sempre in giro dicendo che secondo lui invece mi dovevo proprio preoccupare perché con buona probabilità gli alieni sarebbero stati attratti da me dato che ho la pecorella, e questa li avrebbe senz'altro incuriositi.

Chiudo con una felice considerazione sull'azione terapeutica che ha la scrittura. Dopo la stesura e la pubblicazione di questo post mi sento enormemente più tranquilla, e non solo perché la confessione e l'esternazione dei propri timori è sempre il primo passo verso la loro risoluzione, ma perché, da un punto di vista meramente pratico, penso che il giorno che gli alieni decidessero di rapire qualcuno si documenterebbero prima sullo sciagurato, studiandone azioni, abitudini e idee, e dunque, nel mio caso, si imbatterebbero nel mio blog e i loro sette occhi cadrebbero senz'altro sul post che ho dedicato loro, il cui contenuto li scoraggerebbe dallo scegliere me per i loro pur nobili studi.

Altra riflessione di conforto. Ma chi ha detto che se gli alieni venissero sul pianeta terra si interesserebbero prima di tutto alla specie umana? Siamo ancora così vittima del nostro sfrenato antropocentrismo? Magari questi archivierebbero la nostra specie come robaccia da quattro soldi, troppo implume e debole per essere interessante, e concentrerebbero la loro attenzione, che so, sui coccodrilli, sui tacchini o sui rinoceronti. Insomma, su una qualunque altra specie...eccetto i piccioni. I piccioni no. Quello mi farebbe proprio girare le scatole.

Tic tic tic tic!

giovedì 7 gennaio 2010

ginger


Il migliore amico dell'uomo è il cane, il migliore amico del gatto è l'uomo, la migliore amica di ginger è laura. Diciamo amica perché vogliamo preservare la psiche della povera laura dall'amara verità per cui, più che un'amica, laura è la cameriera di ginger.
L'altra sera, invitata da lei per una pizza con il nostro amico marco, sono rimasta allibita dal fatto che questi ha impiegato non più di due minuti per concludere che la vera padrona di casa è ginger. Marco è intelligente e sagace, ma la sudditanza di laura nei confronti di ginger è davvero esasperata, tanto da lasciar intendere la gerarchia dell'appartamento, ad un casuale avventore, in non più di pochi minuti.
Il vero problema è la figosità di ginger, come giustamente dice il nostro amico francesco, che ha felicemente coniato il neologismo per l'occasione: figosità esibita, esercitata, paventata e imposta agli astanti con miagolii, versetti, musetti strisciati, occhietti sbattuti...difficile resistere a tanto fascino, facilissimo caderne vittima, ancora più facile precipitare in una spirale di schiavitù ed obbedienza incondizionata che porta alla rinuncia ai più essenziali diritti umani, come quello al sonno, al riposo e alla libertà.
Passi il fatto che la graziosissima casa di laura sia cosparsa di topini che, a piacimento di ginger, devono essere distribuiti per il pavimento e per le varie stanze, in modo da essere sempre disponibili qualora la micetta senta la velleità di giocarci; passi il protagonismo sfrenato di ginger, che riesce a monopolizzare l'attenzione durante le nostre serate (a capodanno mi è toccato contrastare il suo dominio imponendo una lunga discussione sugli scambisti, sulle dinamiche che regolano i meccanismi delle coppie che operano una siffatta scelta e, soprattutto, sull'annosa questione del cibo nei locali che offrono tale tipo di servizi: si mangerà bene o male?) ma quello che davvero non posso accettare è il fatto che il sonno della mia amica laura venga, ogni mattina, interrotto dalle pretese di ginger, che vuole il cibo proprio a quell'ora, senza deroghe e senza esitazioni: ora, subito, adesso. Miao.
Una categoria di riflessioni su ginger brillantemente suggerita da francesco è la miaologia, disciplina che, come da appellativo, si ripropone di catalogare, codificare, interpretare e tradurre i vari miagolii di ginger.
Accreditati finora sono le seguenti forme: il "mieee, mieeeeeee, mieeeeeeeeee" sempre più insistente e intenso, che rappresenta l'estasi del cibo che si avvicina, l'assaporamento di un piacere tutto sensorio che sta per essere fruito, la gioia del desiderio che finalmente si compie e si risolve nelle stupende, colorate, nutrienti e pure musicali crocchette. C'è poi il "miaaooo, miaaooooo, miaooooooo" di richiamo/saluto/sollecitazione al cibo di ginger che vede laura arrivare dalla finestra, pronunciato in modo affrettato ed incerto, disperso tra le mille altre azioni che la circostanza richiede: precipitarsi alla porta, ascoltare i rumori del palazzo, aspettare che laura apra e, a quel punto, tentare la fuga per le scale, tanto per fare un po' di casino e stremare un altro pochetto la povera domestica che torna stanca dal lavoro. Altra tipologia è il "miaaaaaooo" sommesso, esitato ma deciso, profondo - una specie di miagolio da maniaco - del predatore che guarda il piccione (ariecco i piccioni), creatura evidentemente misteriosa e piena di un fascino indefinibile anche agli occhi dei gatti. Mi raccontava laura che una volta ginger ha pure tentato di scaraventarsi su un piccione posato sul davanzale: tentativo miseramente fallito con un pietoso tonfo e rimbalzo sulla zanzariera. Menomale che pure i gatti erano intelligenti.
Dulcis in fundo, il miagolio più caratteristico, quello meglio identificato e sicuramente meglio tradotto: il fantomatico "miè!", secco, deciso, astioso, che ginger usa come noi useremmo un "ma vattene un po' a quel paese!" quando qualcuno le sposta il musetto immerso nel piatto, quando viene allontanata dalla cucina o quando viene buttata via dal salotto durante i suoi momenti di follia in cui vuole vendicare le colpe dell'umanità azzannando noi poveracci che stiamo lì a parlare.


Due parole sulla vita sentimentale di ginger.
Al momento i candidati partner sono due: uno è mirtillo detto millo, micetto della famiglia di laura, altro certosino come ginger ma, rispetto ad essa, molto più pauroso, timorato di dio e di tutto ciò che è presente sulla terra e che abbia dimensioni comprese tra il millimetro e il chilometro; nelle domeniche che i due promessi passano insieme racconta laura che essi girano per casa, ginger in avanscoperta e millo a seguito a dovuta distanza; ogni qualvolta questi tenti di accorciare lo spazio che li separa, ginger si volta e lo prende a zampate, come a dire: "sta' al posto tuo", "ma che vuoi", "mi dici chi ti ha datto tutta questa confidenza?", "miè!".
Altro candidato è ronnie, il gattino di silvia, la nostra amica che vive a terni (un giorno farò un post con la catalogazione di tutte le silvie, promesso); ronnie è un gattone forte e coraggioso, pieno di sé, capo anche lui della casa in cui vive e, diciamoci la verità, a sua volta padrone incondizionato della povera silvia. Tra le sue indiscusse abilità, una incredibile capacità nel parare i winnie the pooh travestiti da varie cose - soprattutto da faro per le navi - che volano tra i gradini delle scale, che lui tratta come il suo regno e su cui si sbraga per scrutare l'attività nel salotto sottostante.
Discutendo con laura su chi dei due potesse essere il candidato più adeguato per la zampa di ginger, riflettevamo sul fatto che ormai essa è abituata al controllo incondizionato che ha su millo, e sembra quindi propensa ad un rapporto impari in cui lei comanda e lo sposo obbedisce, si mortifica e fa lo schiavetto. Con ronnie non potrebbe chiaramente essere così: è facile immaginare che ronnie, da maschietto di carattere quale esso è, la metterebbe subito al posto suo, in cucina a lavare le ciotoline per le crocchette o a cambiare il terriccio per la lettiera, e al primo suo "miè!" di protesta le rifilerebbe una zampettata per rimetterla in riga: "tu, femmina, che fai, miagoli pure?". Insomma, si potrebbe creare una triste storia di violenze domestiche, ma laura è possibilista e non si sente di escludere l'opzione: ha detto che magari a ginger piace così.

Altra grandissima abilità di ginger: rispondere al citofono.
Succede che quando qualcuno citofona a casa di laura, le vibrazioni prodotte dal suono fanno staccare la cornetta dalla sua sistemazione e questa precipita in basso. Il frastuono prodotto dall'evento - nonché il suono stesso del citofono - attivano immediatamente ginger, che si fionda all'ingresso e - è facile immaginare - si mette ad annusare il citofono, lo studia, lo scruta...insomma, si impiccia.
A quel punto, nel sentire una voce ignara che dalla strada chiede: "laura? Ci sei?" ginger...risponde! "Miaaaooooo!"! Una volta mi è successo: ho citofonato a laura che ancora non era rientrata e, allontanatami di pochi metri dal citofono, ho sentito un "miaaaooooo, miaaaaooooo" riecheggiare per viale mazzini. Sono corsa indietro, ho detto "ginger!" e lei di nuovo: "Miaaoooooo!". Ah, come è bello pensare che, di tanto in tanto, per una via seria e rispettabile di roma come viale mazzini, prossima alla sede rai di via teulada, vicina al tribunale e densa di uffici dei più svariati professionisti, riecheggi indisturbato il miagolio di ginger, che chiede "chi è?", interroga la cornetta del citofono, domanda "Desidera? Miao?!" e disperde i suoi interrogativi lungo i marciapiedi, tra i giardini in mezzo alla via e, perché no, lungo viale angelico, su su fino a piazza maresciallo giardino... Che meraviglia! Chissà quanti cagnolini l'avranno udita e avranno drizzato le orecchie avvertendo quel suono.

post scriptum Ringrazio laura e silvia che, con le loro confidenze, hanno reso possibile la realizzazione di questo post. Spero che la loro testimonianza spinga altre persone che si trovano nella loro stessa condizione a denunciare i sorprusi a cui, quotidianamente, i loro gatti le condannanano.
Altro ringraziamento speciale va a francesco simula, esperto miaologo che, grazie alle utilissime conversazioni, ha ispirato molte delle considerazioni qui riportate.
Miao a tutti.