C'è poco da fare, ogni volta che entro nel museo d'orsay mi riconcilio con il mondo.
Dirò di più, mi riconcilio con l'universo, e con questo intendo dire che la riconciliazione contempla non solo gli abitanti del pianeta terra, ma anche eventuali abitanti di pianeti extraterrestri, qualunque sia la loro forma, ovina o no.
Ieri sono stata a vedere la mostra sull'art nouveau: bella ma non entusiasmante, se non fosse per un water a forma di mosca che ha catturato l'attenzione di tutti gli astanti, e ha portato la mia mente a inquietanti interrogativi sul suo utilizzo che non starò qui a condividere con voi per spirito, come dire, di discrezione.
Sebbene la mostra non fosse nulla di che, a renderla speciale c'era il contenitore in cui era situata, ovvero la splendida ex-stazione che oggi funge da museo e che raccoglie i capolavori dell'impressionismo e di parte del novecento (van gogh, gauguin). Quando sono lì mi sento felice, non trovo altro modo per esprimere ciò che provo: è come una gioia del caffè senza caffè. C'è un'atmosfera, un senso di bellezza così coinvolgente che difficilmente riesce ad essere piegato dai dispiaceri quotidiani che sicuramente gli avventori del museo si portano dentro. Ogni creatura umana dotata di un minimo di sensibilità nell'avvertire il mondo deve rimanere folgorata dalla circostanza - contingente quanto predeterminata da una precisa volontà: oggi vado al museo - di trovarsi in mezzo a quei capolavori.
Primo tra tutti, per quanto mi riguarda, il bal au moulin de la galette di renoir. Per quanto ne so ora che ho trent'anni, è il quadro che amo di più al mondo (non so se sarà ancora così quando sarò una pecorella quarantenne, ma se gli alieni non mi rapiscono nel frattempo prometto che vi farò sapere).
Ieri ho passato venti minuti buoni a rimirarlo e, come ogni volta che me lo trovo davanti, ho scoperto dettagli nuovi che prima non avevo notato. In particolare, ho fatto caso alla testa bionda di una bimba che spunta sul lato destro della tela, e che, a discapito dei suoi vicini che guardano incuriositi verso est, guarda dinnanzi a sé, verso il nostro spazio, e chissà che cosa pensa.
Tra l'altro quel gruppo di persone che volgono lo sguardo verso un punto indefinito e per noi che guardiamo loro, ahimé, inaccessibile, è uno degli interrogativi che mi accompagna e che sempre mi accompagnerà quando penso a renoir, no, di più, quando penso alla pittura in generale e, perché no, all'intero millennio passato e a ciò che ci ha lasciato.
Ci sono poi i ballerini, che chiaramente citano quelle altre coppie che danzano in città e in campagna: a me piace pensare che siano proprio quei ballerini campagnoli che, in un giorno di primavera, hanno deciso di prender parte alla festa del mulino.
A proposito di questi ultimi, le indegne inservienti del museo ieri mi hanno riservato un gran brutto dispiacere.
Il caso vuole che di questi tempi il museo d'orsay sia in fase di restauro, così che le opere esposte nei piani alti - impressionismo, post-impressionismo, van gogh etc - siano state redistribuite al piano terra, tra le ali destra e sinistra del museo.
Data questa redistribuzione, ed essendo ieri la prima volta che tornavo al museo dopo questi cambiamenti, non ero più al corrente della dislocazione delle varie opere, e ho dovuto pertanto riscoprirla. Il punto è che non riuscivo a trovare alcune delle opere più belle di renoir: a parte la danse à la ville e la danse à la campagne, non mi ero ancora imbattuta neanche ne la balançoire, l'altalena, l'unico vero antagonista al bal au moulin nel possesso del mio cuore.
Dispiaciuta per questo mio personale fallimento, e ferita nel mio pessimo orgoglio che mi impedisce di chiedere ai commessi dove sono i libri nelle librerie o i quadri nei musei - devo essere in grado di scovarli da me! - sono andata da una delle signorine che controllavano il museo e le ho chiesto dove potessi trovare quei quadri, dato che non riuscivo ad individuarne la posizione dopo lo spostamento dal quinto piano, e se erano presenti o meno nell'esposizione.
Questa mi ha guardato un po' interdetta, poi mi ha detto: renoir è qui, controlla da queste parti, come se stesse parlando con un'avventrice casuale di un negozio di abbigliamento la quale avesse chiesto se era disponibile quella giacca jeans taglia m vista l'altro giorno, e le stesse rispondendo: quello che c'è è tutto esposto, se non la vede vuol dire che è terminata.
Se c'è è qui altrimenti manca??? Ma come è possibile che non sappia dove siano quei quadri???
Alla mia espressione perplessa si è sentita di argomentare giustificando la sua ignoranza col fatto che i musei spesso prestano i quadri e che forse quelli non erano ancora rientrati. Mi ha detto che c'era stata una mostra a gran palais e che forse i quadri erano lì...Sì, le ho risposto, la mostra c'era stata ed era pure finita, ma lì erano presenti solo i due balli e non la balançoire, quindi questo non risolveva il mistero. Mistero secondo solo a quell'altro mistero, ben più grande e dalle conseguenze più scoraggianti, per cui una maschera di uno dei più importanti musei del mondo non sappia se sono presenti o meno tre tra i quadri più prestigiosi che la locale collezione vanta.
Sic.
Mi sono rassegnata e, dato che dei quadri non c'era traccia, sono rimasta a contemplare il ballo al mulino de la galette. Ogni volta che me lo trovo davanti avverto un curioso senso di riconoscimento, e mi sembra quasi di reincontrare un vecchio amico, tanto che mi verrebbe da chiedergli come sta, che cosa ha fatto a natale, se ha festeggiato l'anno nuovo con qualche monet o se è rimasto in famiglia (difficile, visto che tre dei suoi parenti sono spariti misteriosamente dal museo) etc. Questo senso di familiarità mi emoziona sempre molto: forse è la sensazione più bella che provo quando ce l'ho davanti, e credo che in realtà non sia altro che una forma della gratitudine per questa presenza formidabile, che si converte in consuetudine e riconoscimento per farsi più umana e più fruibile alla mia anima.
Purtroppo durante questa contemplazione estasiata non sono mancati i dispiaceri: un buon settanta per cento dei passanti si fermava, buttava un occhio e diceva: uh, guarda, questo è monet!
NO NO E POI NO!! Non è monet, è renoir!
Mi dispiace, a furia di sentire decantata questa ammirazione - spesso, ahimé, basata più sulla familiarità del nome che su basi estetico-artistiche - per monet, questi è cominciato a starmi antipatico. Bravissimo, per carità: ma renoir è superiore. E chi vuole litigare con me per questa mia affermazione faccia pure, sono pronta.
Insomma, un branco di bifolchi che neanche si sprecavano a leggere il cartellino per controllare la paternità dell'opera.
Nonostante tutto questo renoir e la bellezza della sua pittura ci ha redenti dai nostri peccati di tracotanza, presunzione e ignoranza, e ci ha purificati dai nostri errori con le espressioni umanissime che dona ai suoi personaggi e con l'uso sapiente che fa del bianco. Solo nelle sue opere mi sembra di scorgere dei bagliori veri: ogni volta che arrivo nell'ala del museo che lo contiene e, senza rendermene conto, cominciano ad entrare nel mio campo visivo le sue opere, ho come la sensazione di percepire dei bagliori, e mi sembra quasi che ci siano, sulla tela, schegge riflettenti che deviano la luce delle lampade verso il mio sguardo. In realtà è solo renoir che ha capito del bianco e del suo utilizzo qualcosa che noi non sappiamo.
Mentre me ne andavo, riflettevo sul fatto che varrebbe la pena farsi tre ore di treno per passare anche solo un minuto ad ammirare quel quadro. No, di più: varrebbe la pena farsi tre ore di volo, o anche un volo intercontinentale, o anche...costruire un'astronave, partire da vega, parcheggiare su una chiatta sulla senna e venire a contemplare tanta bellezza. Parlo con voi, signori alieni: anziché fare i cretini con i vostri test e sciupare il vostro tempo a meditare attacchi alla terra o primi contatti che mi coinvolgano - per non parlare dei biechi mezzucci sfociati nei travestimenti da pecorelle - perché non venite al museo d'orsay a vedere renoir e ve ne state zitti e muti e, una volta tanto, abbozzate?
Mentre camminavo via dal museo e correvo verso la fermata del 68 che mi aspettava lungo la senna, pensavo che dopo tanta gioiosa contemplazione anche le paure e i rammarici più profondi che sento in me mi sembravano attutiti, e meditavo sul fatto che in quel momento non avrei avuto paura né di gestire interazioni aliene né di trovarmi ad interloquire con stormi di piccioni starnazzanti e rumorosi. Avrei azzittito i due insiemi funesti con uno sguardo, li avrei messi in fila davanti al bal au moulin de la galette, piccioni a sinistra e alieni a destra, possibilmente mano nella mano (meglio: mano-a-tre-dita nella zampetta picciona), e avrei mostrato loro di che cosa siamo capaci. E guai a chi pigola, tuba o fa ticchiettii fastidiosi. Zitti e muti. Questo avrebbe provato loro l'abilità umana e li avrebbe incitati al rispetto, ne sono sicura. Dopo, finalmente riappacificati e pieni di una nuova, inaspettata stima reciproca, ce ne saremmo andati tutti quanti insieme ad ubriacarci in qualche brasserie, chi con il becchime, chi con l'acido solforico e chi, come me, col succo di frutta, visto che sono astemia.
Ha ragione dostoevskij: la bellezza salverà il mondo.
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