venerdì 29 gennaio 2010

pokezza femminile

E con questo non intendo né convertirmi al tristissimo linguaggio adolescenziale, dove il povero fonema "ch" viene reso con una lettera che, per quanto ne sa l'alfabeto italiano, neanche esiste, né riferirmi alla superficialità femminile, che spesso si traduce in gusti, passatempi e discorsi effimeri e vani.
Mi riferisco alla nuova forma di interazione umana elaborata da facebook, ovvero il poking, consistente nel premere un pulsantino che, immediatamente, produce la comparsa di una manina che ci batte la spalla - virtualmente, è chiaro - e ci fa ricordare che quel nostro amico esiste, ci pensa etc. Insomma, credo che sia l'evoluzione informatica di quello che una volta erano gli squilletti al telefonino, attraverso cui tanti giovani si dicevano che ognuno ricordava l'altro, non l'aveva dimenticato nelle ultime quattro ore e vivevano tutti felici e contenti. Quante amicizie sono state alimentate da queste attenzioni (per cui, ahimé, capisco di essere già troppo vecchia)!
Insomma, nonostante sia vissuta serena per un paio d'anni senza necessità di pokaggi vari - ne ho avuto solo una breve esperienza che non sto qui a raccontare - l'altro giorno, essendo inserita in modo coatto in uno scambio di mail tra le mie amiche laura, silvia m e ilaria, mi sono ritrovata all'interno di una guerra dei poke che adesso non mi lascia vivere serena e che si è andata ad aggiungere alle già pesanti incombenze idrauliche della settimana che sta finendo proprio in queste ore.
Concedo questo scorcio di interazione femminile perché vorrei far capire agli amici maschi (i quali trovano sempre da ridire sulle difficoltà di interagire con le donne, sulla impossibilità di prevederne reazioni o pensieri e sulla mancanza di quiete che caratterizza ogni avvicinamento ad una di esse) che, per quanto complicato possa essere realizzare un sereno equilibrio di coppia se, all'interno di essa, è presente almeno un elemento di genere femminile, le interazioni tra gruppi di femmine sono ben più spietati e, in confronto ai miseri screzi maschio-femmina, si avvicinano, per entità e complessità, a vere e proprie lotte tra titani.
Insomma, manco tra noi noi femmine riusciamo a vivere serene.
Il caso ha voluto che, qualche mese fa (loro non lo sanno ma io ho ricostruito attentamente tutta la genesi della vicenda), la nostra amica silvia m abbia chiesto, su facebook: ma che cosa vuol dire to poke?
Al che ilaria - incoscientemente presentata a silvia m da laura, con l'effetto di produrre una miscela esplosiva di femmine che, se erano difficili da gestire una per una, in coppia sono davvero insopportabili - si è subito sacrificata e proposta per sperimentare la funzione, pokando silvia e producendo l'effetto descritto sopra.
Ingenua come sono, pensavo che la cosa fosse finita lì, e invece proprio pochi giorni fa, finendo disgraziatamente in questo giro di mail con minacce di pokaggi vari, ho scoperto che per le mie compagne tanto felice era stata l'esperienza del primo poking che hanno pensato bene ti continuare a pokarsi da allora, senza smettere mai.
Capito in che guaio ero stata infilata ho parlato con laura, la più saggia delle tre, la quale mi ha spiegato che il punto è ripokarsi in continuazione non appena ci si trova pokate da una delle partecipanti. E va be', ce la potevo fare. Falso!!! Non appena mi sono loggata su facebook mi sono trovata pokata da tutte e tre le disgraziate, e a quel punto, sommersa da quel mare di manine adducenti, ho chiesto a laura se ero morta; insomma, se mi ero fatta ammazzare subito. Che ne so, ho pensato che se uno si trovava pokato da tutti simultaneamente moriva e finiva il gioco. Invece no, menomale.
Allora mi sono detta che finché c'è vita c'è speranza e le ho pokate a mia volta.

Il punto è che, in questo scambio di pokezze, si traducono disagi, malumori e arrabbiature provenienti dai pià svariati ambiti dell'esistenza.
Il caso vuole, infatti, che laura venga su a parigi il prossimo fine settimana, il che vuol dire che passeremo insieme un bel weekend lei, io e ilaria. E silvia m dove la mettiamo?
Drammone di silvia m che si sente esclusa, e che freme al pensiero che noi staremo qui tutte insieme senza di lei e NON LA PENSEREMO e anzi, se ci andrà, NE PARLEREMO PURE UN PO' MALE!
Ovviamente silvia m sarebbe la benvenuta qui con noi, ma immagino che abbia impicci lavorativi e non possa allontanarsi da terni.
Questo ci giustifica e ci porta ad una assoluzione? Assolutamente no! Dato che silvia m non poteva venire avremmo dovuto avere il buon gusto di starcene ognuna per conto proprio, chiuse dentro casa, meglio se piangendo e maledicendo il destino crudele che ci fa stare tanto lontane da silvia m.
Ecco, credo che questo avrebbe lasciato silvia m tranquilla.
La cosa più drammatica è che quasi quasi io mi sento in colpa sul serio!
Va be', se mai silvia m si arrabbierà le dirò che mi ha fatto tanto soffrire scoprire che loro giocavano a pokarsi già da mesi e nessuna di loro ha sentito l'esigenza di coinvolgermi, di far entrare la loro amichetta silvia p nel poking business e di condividere con me un tanto gioioso passatempo.
Ilaria e laura se la vedranno per conto loro: non so come potranno giustificare tanta indelicatezza nei confronti di silvia m, che dicevano essere loro amica.

Questo per dire che la vita tra femmine è un casino. Pure tra femmine belle, simpatiche, intelligenti e spiritose come, guarda un po', siamo io e tutte le mie amiche che, nonostante la prossimità ai picchi della civilizzazione e del buon senso, sempre donne rimaniamo e quindi siamo stressanti in primis con noi stesse.

Ora torno a controllare la situazione del pokaggio su facebook, perché stamattina già sono stata attaccata da ilaria s (ma ho risposto prontamente all'attacco!) e non vorrei aver già subito altri attacchi da silvia m e laura.

Si preannuncia un weekend faticoso.

giovedì 28 gennaio 2010

tra le goccioline

Lo dirò subito, questa è una storia a lieto fine.
Preferisco specificarlo in anticipo perché non vorrei che alcuni dei lettori, presi dallo sconforto nel sentire narrate vicende tanto inquietanti, rinunciassero ad arrivare fino in fondo preferendo non sapere che fine ha fatto la loro amichetta silvia, ragazza tanto cara prima che affogasse nelle acque calcaree di casa sua.

Che amarezza svegliarsi una mattina con un forte giramento di testa, nausea e mal di stomaco, e finire col piedino - protetto solo da una inefficace pantofolina di ikea - nel nuovo laghetto nato nottetempo tra il termosifone accanto alla finestra e il mobile tv del monolocale!
Che brutto constatare che la geografia della nostra casa è cambiata, e lì dove c'erano pianure sorgono ora laghi, mentre, forse, nuove montagne si creano tra i legni del parquet che tanto amavano e che ci piacevano un sacco così com'erano!
Che fatica fare avanti e indietro dal bagno per asciugare litri e litri d'acqua, con la nausea che nel frattempo è peggiorata e ci rende ancor più estenuante la già estenuante operazione di asciugatura!
...Ma che soddisfazione far entrare in casa l'idraulico e sentirlo complimentarsi per l'ingegnoso sistema di scolo messo su (sotto consiglio di paoletto) per indirizzare la perdita verso un adeguato recipiente!
Insomma, esco da una pesantissima settimana di convivenza con le goccioline del termosifone, che cadevano giù dal rubinetto di quest'ultimo e che sono andate vicine ad avere la meglio su di me.
Lo strazio di questo ticchettio - che, come mi ha fatto notare oggi luisa al telefono, evoca il linguaggio alieno e quindi è già di per sé malvagio - mi ha accompagnato notte e giorno da sabato scorso, impedendomi di andare tranquilla al lavoro o di dormire la notte senza la paura che mi sarei risvegliata, l'indomani, con una geografia ancora nuova dentro casa.
Per fortuna oggi l'idraulico, bontà sua, si è degnato di venire a riparare la perdita, dopo che ieri mi ha dato buca per oscuri motivi e mi ha costretto ad un'altra notte di convivenza con le goccioline.
Per sopravvivere alla presenza acquatica coatta sabato, alle due del mattino, ho dovuto seguire il consiglio di paoletto, che mi suggeriva di controllare il ticchettio collegando la zona di formazione della gocciolina ad un pezzo di filo per cucire, e facendo scendere quest'ultimo giù giù fino al recipiente dove raccoglievo l'acqua. Questa scelta si è rivelata particolarmente felice non solo perché ha evitato il tic tic notturno - o quantomeno lo ha attutito - ma soprattutto perché, permettendomi di reindirizzare la caduta delle goccioline verso il secchio grande del mocho vileda, mi ha concesso una autonomia di una decina di ore tra uno svuotamento e l'altro del recipiente, e non solo di poche ore come sarebbe stato con l'unica ciotola che entrava sotto il termosifone.
Gli ultimi due giorni la situazione è stata ancora più drammatica, perché la gocciolina ha partorito e ha prodotto una gocciolina figlia proprio accanto a sé. Quest'ultima, nonostante la tenera età, si è dimostrata capacissima di ripetere le azioni infestanti della mamma, e si è messa a gocciolare allegramente dal bullone accanto al rubinetto di controllo. Il nuovo arrivo ha richiesto quindi la creazione di un secondo sistema di scolo, posizionato accanto al primo, che per fortuna si è rivelato altrettanto efficace.

Va detto che la sfortunata occorrenza ha avuto l'effetto positivo di farmi capire la vera natura di alcuni oggetti che avevo dentro casa.
Il secchio del mocho non è il secchio del mocho, ma un raccogli-goccioline-ad-alta-capienza, grazie al quale la durata dei miei sonni è stata mantenuta su valori accettabili, senza subire l'assalto di improbabili sveglie per svuotare le ciotoline poco capienti.
Il filo da cucire non è filo da cucire, e la sua natura non è quella di reggitore-di-lembi-di-vestiti-tagliati, ma è una guida-per-goccioline-che-tentano-di-costruirsi-una-nuova-vita-al-di-fuori-del-termosifone!
Ma soprattutto (e qui la gioia è stata massima): la strana mattonella gialla a forma di disco con il pesce sopra, che avevo comprato a genova l'anno scorso senza sapere che cosa fosse - ho passato un anno a trattarla come poggia-macchinetta-del-caffè-bollente, che scema! - in realtà non è altro che un reggi-fili-attraversati-da-goccioline-nel-secchio-pieno-d'acqua!
Che bello aver capito in profondità la natura di questi curiosi oggetti che tenevo in casa: è proprio vero che spesso siamo superficiali nel giudicare ciò che abbiamo davanti.

Voglio chiudere questo post con una nota di ottimismo, confessandovi che non tutti gli abitanti di casa mia sono stati scossi da questo drammone idraulico. Qualcuno è stato anche felice.
Parlo della mia orchidea caterina che, tratta in inganno dalla fortissima umidità che lo sgocciolare continuo ha prodotto nel nostro piccolo appartamento, ha creduto che, in questo curioso stralcio di amazzonia nel cuore di parigi in cui si trova a vivere, fosse arrivato il periodo delle piogge, e ha cominciato quindi a fare i getti nuovi. Che bellezza, non vedo l'ora che fiorisca di nuovo! Produce dei fiori così incantevoli, quando ci si mette, che rendono accettabile ogni pena idraulica o climatica patita. La mia tosse non è d'accordo, ma pazienza: domani comprerò lo sciroppo.

lunedì 25 gennaio 2010

au musée d'orsay

C'è poco da fare, ogni volta che entro nel museo d'orsay mi riconcilio con il mondo.
Dirò di più, mi riconcilio con l'universo, e con questo intendo dire che la riconciliazione contempla non solo gli abitanti del pianeta terra, ma anche eventuali abitanti di pianeti extraterrestri, qualunque sia la loro forma, ovina o no.
Ieri sono stata a vedere la mostra sull'art nouveau: bella ma non entusiasmante, se non fosse per un water a forma di mosca che ha catturato l'attenzione di tutti gli astanti, e ha portato la mia mente a inquietanti interrogativi sul suo utilizzo che non starò qui a condividere con voi per spirito, come dire, di discrezione.
Sebbene la mostra non fosse nulla di che, a renderla speciale c'era il contenitore in cui era situata, ovvero la splendida ex-stazione che oggi funge da museo e che raccoglie i capolavori dell'impressionismo e di parte del novecento (van gogh, gauguin). Quando sono lì mi sento felice, non trovo altro modo per esprimere ciò che provo: è come una gioia del caffè senza caffè. C'è un'atmosfera, un senso di bellezza così coinvolgente che difficilmente riesce ad essere piegato dai dispiaceri quotidiani che sicuramente gli avventori del museo si portano dentro. Ogni creatura umana dotata di un minimo di sensibilità nell'avvertire il mondo deve rimanere folgorata dalla circostanza - contingente quanto predeterminata da una precisa volontà: oggi vado al museo - di trovarsi in mezzo a quei capolavori.
Primo tra tutti, per quanto mi riguarda, il bal au moulin de la galette di renoir. Per quanto ne so ora che ho trent'anni, è il quadro che amo di più al mondo (non so se sarà ancora così quando sarò una pecorella quarantenne, ma se gli alieni non mi rapiscono nel frattempo prometto che vi farò sapere).
Ieri ho passato venti minuti buoni a rimirarlo e, come ogni volta che me lo trovo davanti, ho scoperto dettagli nuovi che prima non avevo notato. In particolare, ho fatto caso alla testa bionda di una bimba che spunta sul lato destro della tela, e che, a discapito dei suoi vicini che guardano incuriositi verso est, guarda dinnanzi a sé, verso il nostro spazio, e chissà che cosa pensa.
Tra l'altro quel gruppo di persone che volgono lo sguardo verso un punto indefinito e per noi che guardiamo loro, ahimé, inaccessibile, è uno degli interrogativi che mi accompagna e che sempre mi accompagnerà quando penso a renoir, no, di più, quando penso alla pittura in generale e, perché no, all'intero millennio passato e a ciò che ci ha lasciato.
Ci sono poi i ballerini, che chiaramente citano quelle altre coppie che danzano in città e in campagna: a me piace pensare che siano proprio quei ballerini campagnoli che, in un giorno di primavera, hanno deciso di prender parte alla festa del mulino.
A proposito di questi ultimi, le indegne inservienti del museo ieri mi hanno riservato un gran brutto dispiacere.
Il caso vuole che di questi tempi il museo d'orsay sia in fase di restauro, così che le opere esposte nei piani alti - impressionismo, post-impressionismo, van gogh etc - siano state redistribuite al piano terra, tra le ali destra e sinistra del museo.
Data questa redistribuzione, ed essendo ieri la prima volta che tornavo al museo dopo questi cambiamenti, non ero più al corrente della dislocazione delle varie opere, e ho dovuto pertanto riscoprirla. Il punto è che non riuscivo a trovare alcune delle opere più belle di renoir: a parte la danse à la ville e la danse à la campagne, non mi ero ancora imbattuta neanche ne la balançoire, l'altalena, l'unico vero antagonista al bal au moulin nel possesso del mio cuore.
Dispiaciuta per questo mio personale fallimento, e ferita nel mio pessimo orgoglio che mi impedisce di chiedere ai commessi dove sono i libri nelle librerie o i quadri nei musei - devo essere in grado di scovarli da me! - sono andata da una delle signorine che controllavano il museo e le ho chiesto dove potessi trovare quei quadri, dato che non riuscivo ad individuarne la posizione dopo lo spostamento dal quinto piano, e se erano presenti o meno nell'esposizione.
Questa mi ha guardato un po' interdetta, poi mi ha detto: renoir è qui, controlla da queste parti, come se stesse parlando con un'avventrice casuale di un negozio di abbigliamento la quale avesse chiesto se era disponibile quella giacca jeans taglia m vista l'altro giorno, e le stesse rispondendo: quello che c'è è tutto esposto, se non la vede vuol dire che è terminata.
Se c'è è qui altrimenti manca??? Ma come è possibile che non sappia dove siano quei quadri???
Alla mia espressione perplessa si è sentita di argomentare giustificando la sua ignoranza col fatto che i musei spesso prestano i quadri e che forse quelli non erano ancora rientrati. Mi ha detto che c'era stata una mostra a gran palais e che forse i quadri erano lì...Sì, le ho risposto, la mostra c'era stata ed era pure finita, ma lì erano presenti solo i due balli e non la balançoire, quindi questo non risolveva il mistero. Mistero secondo solo a quell'altro mistero, ben più grande e dalle conseguenze più scoraggianti, per cui una maschera di uno dei più importanti musei del mondo non sappia se sono presenti o meno tre tra i quadri più prestigiosi che la locale collezione vanta.
Sic.
Mi sono rassegnata e, dato che dei quadri non c'era traccia, sono rimasta a contemplare il ballo al mulino de la galette. Ogni volta che me lo trovo davanti avverto un curioso senso di riconoscimento, e mi sembra quasi di reincontrare un vecchio amico, tanto che mi verrebbe da chiedergli come sta, che cosa ha fatto a natale, se ha festeggiato l'anno nuovo con qualche monet o se è rimasto in famiglia (difficile, visto che tre dei suoi parenti sono spariti misteriosamente dal museo) etc. Questo senso di familiarità mi emoziona sempre molto: forse è la sensazione più bella che provo quando ce l'ho davanti, e credo che in realtà non sia altro che una forma della gratitudine per questa presenza formidabile, che si converte in consuetudine e riconoscimento per farsi più umana e più fruibile alla mia anima.
Purtroppo durante questa contemplazione estasiata non sono mancati i dispiaceri: un buon settanta per cento dei passanti si fermava, buttava un occhio e diceva: uh, guarda, questo è monet!
NO NO E POI NO!! Non è monet, è renoir!
Mi dispiace, a furia di sentire decantata questa ammirazione - spesso, ahimé, basata più sulla familiarità del nome che su basi estetico-artistiche - per monet, questi è cominciato a starmi antipatico. Bravissimo, per carità: ma renoir è superiore. E chi vuole litigare con me per questa mia affermazione faccia pure, sono pronta.
Insomma, un branco di bifolchi che neanche si sprecavano a leggere il cartellino per controllare la paternità dell'opera.

Nonostante tutto questo renoir e la bellezza della sua pittura ci ha redenti dai nostri peccati di tracotanza, presunzione e ignoranza, e ci ha purificati dai nostri errori con le espressioni umanissime che dona ai suoi personaggi e con l'uso sapiente che fa del bianco. Solo nelle sue opere mi sembra di scorgere dei bagliori veri: ogni volta che arrivo nell'ala del museo che lo contiene e, senza rendermene conto, cominciano ad entrare nel mio campo visivo le sue opere, ho come la sensazione di percepire dei bagliori, e mi sembra quasi che ci siano, sulla tela, schegge riflettenti che deviano la luce delle lampade verso il mio sguardo. In realtà è solo renoir che ha capito del bianco e del suo utilizzo qualcosa che noi non sappiamo.

Mentre me ne andavo, riflettevo sul fatto che varrebbe la pena farsi tre ore di treno per passare anche solo un minuto ad ammirare quel quadro. No, di più: varrebbe la pena farsi tre ore di volo, o anche un volo intercontinentale, o anche...costruire un'astronave, partire da vega, parcheggiare su una chiatta sulla senna e venire a contemplare tanta bellezza. Parlo con voi, signori alieni: anziché fare i cretini con i vostri test e sciupare il vostro tempo a meditare attacchi alla terra o primi contatti che mi coinvolgano - per non parlare dei biechi mezzucci sfociati nei travestimenti da pecorelle - perché non venite al museo d'orsay a vedere renoir e ve ne state zitti e muti e, una volta tanto, abbozzate?
Mentre camminavo via dal museo e correvo verso la fermata del 68 che mi aspettava lungo la senna, pensavo che dopo tanta gioiosa contemplazione anche le paure e i rammarici più profondi che sento in me mi sembravano attutiti, e meditavo sul fatto che in quel momento non avrei avuto paura né di gestire interazioni aliene né di trovarmi ad interloquire con stormi di piccioni starnazzanti e rumorosi. Avrei azzittito i due insiemi funesti con uno sguardo, li avrei messi in fila davanti al bal au moulin de la galette, piccioni a sinistra e alieni a destra, possibilmente mano nella mano (meglio: mano-a-tre-dita nella zampetta picciona), e avrei mostrato loro di che cosa siamo capaci. E guai a chi pigola, tuba o fa ticchiettii fastidiosi. Zitti e muti. Questo avrebbe provato loro l'abilità umana e li avrebbe incitati al rispetto, ne sono sicura. Dopo, finalmente riappacificati e pieni di una nuova, inaspettata stima reciproca, ce ne saremmo andati tutti quanti insieme ad ubriacarci in qualche brasserie, chi con il becchime, chi con l'acido solforico e chi, come me, col succo di frutta, visto che sono astemia.

Ha ragione dostoevskij: la bellezza salverà il mondo.

domenica 17 gennaio 2010

alieni: ipotesi di collaborazione

Eccola là, non ho fatto in tempo a cliccare sul pulsantino "pubblica post" al termine del post precedente, alieni, che già mi sono resa conto di quanto affrettata sia stata la mia presa di posizione e il tono assolutista con il quale ho scartato ogni forma di ipotetica collaborazione con essi.
Cavolo, è proprio vero che nella vita non si può mai dire.
Stavo rispondendo ad alcuni commenti al link di "alieni" su facebook quando, improvvisamente, si è fatta strada nella mia mente un'ipotesi prima del tutto inesplorata, che ha divaricato orizzonti inimmaginabili di collaborazioni, amicizie e, perché no, affetti con i signori alieni.

E se gli alieni fossero pecorelle?

Tutti i miei cari sanno dell'innata passione che nutro per le principesse degli ovini - e spero che la frase precedente non comporti che ora finiranno sul mio blog tutti gli sporcaccioni che cercano su google siti porno a base di ipotetiche "pecorelle"...Nel caso, però, in cui qualcuno dei suddetti sporcaccioni si trovasse a passare da queste parti e avesse anche nozioni di scambismo, potrebbe avere la gentilezza di togliermi la curiosità dicendomi come si mangia nei locali di scambisti? Che tipo di cibo servono, se solo stuzzichini etc?! Grazie in anticipo - e capiscono che nell'improbabile (per quanto non impossibile) ipotesi che gli alieni siano in realtà delle pecorelle, allora tutto cambierebbe, e il mio atteggiamento nei confronti di questi adorabili battuffolini bianchi e profumati - stooooop! Guai a chi dice che le pecorelle puzzano. Siete solo dei cinici. - sarebbe di ben altro tenore. Fidatevi, lettori extraterrestri: la mia dispozione d'animo non sarebbe quella ostile e chiusa delineata nel post "alieni", ma sarebbe una felice apertura, ansia di vedervi, condividere con voi le esperienze dei nostri pianeti natali e commentare, che ne so, il clima degli ultimi mesi, il fatto che le mimose siano già fiorite a gennaio, il vostro fienopopoli locale con la conseguente inchiesta zoccoletti puliti e la fastidiosa ingerenza di quei fanatici degli agnelli sacrificali (supportati, ne sono certa, dai movimenti economico-religiosi che fanno capo ad essi) nella politica della vostra comunità; dico sul serio, avreste tutta la mia disponibilità, miei cari, dolci, affezionati amici alieni-pecorelle.

Ah, un secondo, però. Intendo che gli alieni dovrebbero essere pecorelle sul serio, non alieni-lupo maschierati da pecore solo per il gusto di ingannarmi e farmi cadere nelle loro trappole. Insomma, non vorrei trovarmi un giorno, mentre pascolo felice per prati fioriti con le mie nuove amiche, a dover soccorrere una di esse per una ferita e trovarmi dinnanzi una zampetta tagliata da cui gocciola sangue...verde. Scoprendo poi che tutta la fisiologia della mia presunta amica è in realtà sballata e che dentro quei candidi boccoli si cela la malizia aliena. Già lo so che a quel punto la creatura ferita si volterebbe di scatto verso di me e, al posto del musetto ovino, mi apparirebbe davanti la solita, fottuta faccia degli alieni di signs, verde e un po' lampeggiante, che mi guarda con occhi rossi. In tal caso si tornerebbe alla situazione del post precedente, io morirei di crepacuore etc, e quindi sarebbe stato tutto inutile sia per me che per voi, signori alieni. Inganno fallito.

L'ipotesi che sto vagliando, e che mi rende possibilista riguardo ad un futuro di relazioni aliene, è quella in cui essi non sono altro che pecorelle vere e proprie, come le conosciamo noi, con tutti i loro pregi - molti - e difetti - pochi.
Se questa fosse la realtà, allora sì che si potrebbero creare felici storie di amicizie, di collaborazioni, di aperitivi insieme dopo il lavoro per fare quattro chiacchiere e spettegolare un po'; potremmo passare qualche rilassata domenica pomeriggio fuori porta, loro a pascolare spensierate mentre io leggo un bel libro e mi beo del loro belare - pure il fonosimbolismo: ecco quanta poesia mi ispirano le pecorelle - e potremmo partecipare insieme a qualche sagra di paese, provando a vincere all'albero della cuccagna i resti di qualche loro sorella tramutata in cibo; potrebbero venire tutte insieme chez ginger a mangiare la pizza tesone e potrebbero essere a loro volta amiche di ginger, laura, francesco, luisa, perché chi vuole bene a me deve amare anche le mie amiche pecorelle-alieni.

Insomma, mai dire mai.

In definitiva, cari amici alieni, permettetemi di correggere il tiro del post precedente e dichiararmi favorevole ad accogliervi e a cooperare con voi SE E SOLO SE non siete altro che bellissime pecorelle, sviluppatevi e cresciute in un pianeta straniero per oscuri giochi della genetica e della statistica e arrivate sulla terra per riconciliarvi con le vostre cugine.
In ogni altra ipotesi vi rimando alle istruzioni illustrate nel post precedente.

(una che non sarà mai) vostra,

silvia

martedì 12 gennaio 2010

alieni

Chi mi conosce lo sa: il mio grande cruccio sono gli alieni.
Che ci posso fare, mi stanno antipatici e mi fanno paura.
Per carità, il giudizio - nella sua estrema infondatezza e vanità - è del tutto effimero e personale, ma è tremendamente radicato in me e non posso esimermi dall'esprimerlo.
Ciò che più mi turba, in realtà, è che gli alieni mi rapiscano a scopi di studio. Mi scoccerebbe un sacco. Porca la miseria, uno fa tanto per costruirsi una vita gradevole, interessante, densa di rapporti umani stimolanti e appaganti e poi - tac! - arrivano gli alieni, ti rapiscono e tutto finisce. (Tra l'altro, cari amici alieni, sappiate che se mi rapite fate una cosa due volte stupida: uno perché non ho alcuna intenzione di collaborare: sebbene capisca in profondità la vostra curiosità scientifica e la nobiltà, da un certo punto di vista, della vostra causa, il disappunto per il rapimento mi renderebbe davvero impercorribile una qualunque forma di cooperazione; due: tempo che mi rapite sono morta di crepacuore alla vostra vista, perciò l'unica funzione a cui potrei esservi utile è uno studio sull'anatomia umana. Già qualcosa, direte voi, ma secondo me il gioco non vale la candela.)

La mia posizione nei confronti degli alieni, comunque, non è stata sempre questa. Fino a qualche anno fa non mi preoccupavo troppo della vita extraterrestre e delle ripercussioni che questa poteva avere su di noi. Vivevo felice e spensierata e pensavo solo ai terrestri.
I miei rapporti con gli alieni si sono incrinati nell'estate del 2003, mentre ero al cunchele per riposare dopo la laurea e per preparare l'esame di dottorato. Meteorologicamente quella è stata l'estate più calda che si ricordi: a roma non era possibile sopravvivere, e anche su ad asiago il caldo era veramente forte, tanto che la notte si dormiva male e si sudava molto.
Proprio durante una di queste notti disturbate ho cominciato a sognarmi gli alieni: erano incubi davvero brutti, e mi svegliavo spesso di soprassalto col batticuore, senza riuscire a riprendere sonno per lo spavento. Ricordo ancora il primo sogno: ero nella casa a roma di silvia - la mia amichetta di terni (nonché cameriera di ronnie) che allora viveva lì- e ad un certo punto era chiaro che gli alieni stavano arrivando con intenzioni non pacifiche; noi non so che cosa facevamo, forse uscivamo sul terrazzo - stupide, così quelli ci potevano afferrare ancora meglio coi loro raggi traenti e trasportarci sull'astronave! - e poi ci mettevamo a parlare con la vicina del piano di sotto (personaggio di pura provenienza onirica: può anche darsi che silvia abitasse al primo piano). Il sogno finiva con noi che preparavamo la valigia o uno zainetto: probabilmente avevamo deciso di ottimizzare la situazione e volevamo quantomeno partire per il pianeta degli alieni preparate. Una vera signora si distingue soprattutto durante i rapimenti alieni.
A quel primo incubo ne sono seguiti altri durante i giorni successivi, tutti popolati da quei cavolo di alieni bianchicci (a quel tempo erano bianchi, mentre ora me li figuro verdi) e un po' bassetti, e ho passato un paio di settimane di grandissima agitazione notturna. Sarà stato lo stress per il dottorato, chissà.

Altra origine dei miei dispiaceri extraterrestri: il film "signs", con mel gibson, dove l'arrivo degli alieni è preannunciato dalla comparsa di strani simboli nei campi di grano.
Quegli alieni mi colpirono così tanto e mi fecero così paura che la loro morfologia - umanoidi di colore verde - e soprattutto il loro linguaggio (una specie di ticchettio, per me irriproducibile, che il mio affezionato amico francesco mi ripete in continuazione per appesantire le mie già pesanti preoccupazioni al riguardo), hanno preso il posto degli alieni bassi e bianchi dei primi incubi, ed ora per me l'istanza dell'alieno è proprio quella: una specie di umanoide alto e bitorzoluto, di colore verde, che parla a ticchettii.

Ho riflettuto molto su questa paura. Ovviamente è una risposta del tutto irrazionale in cui la mia mente incanala agitazioni, preoccupazioni e disagi che inevitabilmente popolano le nostre testoline, e ogni qual volta provi a razionalizzarla assaporo con un certo divertimento le peculiarità di questa mia scelta inconsapevole. Nel processo di razionalizzazione mi dico che, sebbene sia abbastanza convinta - attraverso un ragionamento puramente statistico - che la vita extraterrestre esista (anche se a tal proposito sarebbe necessaria una lunga riflessione sulla definizione di "vita"), credo che, qualora i nostri coinquilini sviluppassero una tecnologia e, soprattutto, una spinta conoscitiva tale da potere/volere esplorare lo spazio ed essere in grado di raggiungerci, allora sarebbero in grado di comprendere che ad ottimizzare il loro risultato sarebbe sicuramente una pacifica cooperazione con gli umani, al fine di stabilire un piano di studio reciproco che possa permettere un arricchimento culturale ad entrambe le specie.
Inoltre - sempre nell'ottica della massimizzazione del risultato - credo che gli alieni avrebbero il buon gusto di annunciarsi: potrebbero contattare, che so!, l'ONU, la CIA o qualunque altro organo sovranazionale o nazionale che possa fornire loro una adeguata interfaccia con la popolazione terrestre e, soprattutto, organizzare una ben strutturata cerimonia di benvenuto. Insomma, non mi interessa se vogliano venire per un mese, per anni, se vogliano cooperare e arricchirci culturalmente o approfittare di noi: l'importante è che si annuncino. Soprattutto non vorrei che venisse loro in mente di presentarsi un giorno a casa mia e chiedermi di mediare per loro con i terrestri: NO NO E POI NO. Io non voglio essere vostra intemediaria, signori alieni; non mi interessa la fama e l'appagamento intellettuale che questo comporterebbe, rinuncio ad ogni tipo di informazione diretta - mi accontenterò di quelle manovrate e reimpastate dei giornali - perciò non contate su di me. Anche perché morirei di crepacuore appena mi trovassi davanti uno di voi.
La statistica mi conforta, in fondo: perché dovrebbero scegliere proprio me?
A tal proposito ale mi prendeva sempre in giro dicendo che secondo lui invece mi dovevo proprio preoccupare perché con buona probabilità gli alieni sarebbero stati attratti da me dato che ho la pecorella, e questa li avrebbe senz'altro incuriositi.

Chiudo con una felice considerazione sull'azione terapeutica che ha la scrittura. Dopo la stesura e la pubblicazione di questo post mi sento enormemente più tranquilla, e non solo perché la confessione e l'esternazione dei propri timori è sempre il primo passo verso la loro risoluzione, ma perché, da un punto di vista meramente pratico, penso che il giorno che gli alieni decidessero di rapire qualcuno si documenterebbero prima sullo sciagurato, studiandone azioni, abitudini e idee, e dunque, nel mio caso, si imbatterebbero nel mio blog e i loro sette occhi cadrebbero senz'altro sul post che ho dedicato loro, il cui contenuto li scoraggerebbe dallo scegliere me per i loro pur nobili studi.

Altra riflessione di conforto. Ma chi ha detto che se gli alieni venissero sul pianeta terra si interesserebbero prima di tutto alla specie umana? Siamo ancora così vittima del nostro sfrenato antropocentrismo? Magari questi archivierebbero la nostra specie come robaccia da quattro soldi, troppo implume e debole per essere interessante, e concentrerebbero la loro attenzione, che so, sui coccodrilli, sui tacchini o sui rinoceronti. Insomma, su una qualunque altra specie...eccetto i piccioni. I piccioni no. Quello mi farebbe proprio girare le scatole.

Tic tic tic tic!

giovedì 7 gennaio 2010

ginger


Il migliore amico dell'uomo è il cane, il migliore amico del gatto è l'uomo, la migliore amica di ginger è laura. Diciamo amica perché vogliamo preservare la psiche della povera laura dall'amara verità per cui, più che un'amica, laura è la cameriera di ginger.
L'altra sera, invitata da lei per una pizza con il nostro amico marco, sono rimasta allibita dal fatto che questi ha impiegato non più di due minuti per concludere che la vera padrona di casa è ginger. Marco è intelligente e sagace, ma la sudditanza di laura nei confronti di ginger è davvero esasperata, tanto da lasciar intendere la gerarchia dell'appartamento, ad un casuale avventore, in non più di pochi minuti.
Il vero problema è la figosità di ginger, come giustamente dice il nostro amico francesco, che ha felicemente coniato il neologismo per l'occasione: figosità esibita, esercitata, paventata e imposta agli astanti con miagolii, versetti, musetti strisciati, occhietti sbattuti...difficile resistere a tanto fascino, facilissimo caderne vittima, ancora più facile precipitare in una spirale di schiavitù ed obbedienza incondizionata che porta alla rinuncia ai più essenziali diritti umani, come quello al sonno, al riposo e alla libertà.
Passi il fatto che la graziosissima casa di laura sia cosparsa di topini che, a piacimento di ginger, devono essere distribuiti per il pavimento e per le varie stanze, in modo da essere sempre disponibili qualora la micetta senta la velleità di giocarci; passi il protagonismo sfrenato di ginger, che riesce a monopolizzare l'attenzione durante le nostre serate (a capodanno mi è toccato contrastare il suo dominio imponendo una lunga discussione sugli scambisti, sulle dinamiche che regolano i meccanismi delle coppie che operano una siffatta scelta e, soprattutto, sull'annosa questione del cibo nei locali che offrono tale tipo di servizi: si mangerà bene o male?) ma quello che davvero non posso accettare è il fatto che il sonno della mia amica laura venga, ogni mattina, interrotto dalle pretese di ginger, che vuole il cibo proprio a quell'ora, senza deroghe e senza esitazioni: ora, subito, adesso. Miao.
Una categoria di riflessioni su ginger brillantemente suggerita da francesco è la miaologia, disciplina che, come da appellativo, si ripropone di catalogare, codificare, interpretare e tradurre i vari miagolii di ginger.
Accreditati finora sono le seguenti forme: il "mieee, mieeeeeee, mieeeeeeeeee" sempre più insistente e intenso, che rappresenta l'estasi del cibo che si avvicina, l'assaporamento di un piacere tutto sensorio che sta per essere fruito, la gioia del desiderio che finalmente si compie e si risolve nelle stupende, colorate, nutrienti e pure musicali crocchette. C'è poi il "miaaooo, miaaooooo, miaooooooo" di richiamo/saluto/sollecitazione al cibo di ginger che vede laura arrivare dalla finestra, pronunciato in modo affrettato ed incerto, disperso tra le mille altre azioni che la circostanza richiede: precipitarsi alla porta, ascoltare i rumori del palazzo, aspettare che laura apra e, a quel punto, tentare la fuga per le scale, tanto per fare un po' di casino e stremare un altro pochetto la povera domestica che torna stanca dal lavoro. Altra tipologia è il "miaaaaaooo" sommesso, esitato ma deciso, profondo - una specie di miagolio da maniaco - del predatore che guarda il piccione (ariecco i piccioni), creatura evidentemente misteriosa e piena di un fascino indefinibile anche agli occhi dei gatti. Mi raccontava laura che una volta ginger ha pure tentato di scaraventarsi su un piccione posato sul davanzale: tentativo miseramente fallito con un pietoso tonfo e rimbalzo sulla zanzariera. Menomale che pure i gatti erano intelligenti.
Dulcis in fundo, il miagolio più caratteristico, quello meglio identificato e sicuramente meglio tradotto: il fantomatico "miè!", secco, deciso, astioso, che ginger usa come noi useremmo un "ma vattene un po' a quel paese!" quando qualcuno le sposta il musetto immerso nel piatto, quando viene allontanata dalla cucina o quando viene buttata via dal salotto durante i suoi momenti di follia in cui vuole vendicare le colpe dell'umanità azzannando noi poveracci che stiamo lì a parlare.


Due parole sulla vita sentimentale di ginger.
Al momento i candidati partner sono due: uno è mirtillo detto millo, micetto della famiglia di laura, altro certosino come ginger ma, rispetto ad essa, molto più pauroso, timorato di dio e di tutto ciò che è presente sulla terra e che abbia dimensioni comprese tra il millimetro e il chilometro; nelle domeniche che i due promessi passano insieme racconta laura che essi girano per casa, ginger in avanscoperta e millo a seguito a dovuta distanza; ogni qualvolta questi tenti di accorciare lo spazio che li separa, ginger si volta e lo prende a zampate, come a dire: "sta' al posto tuo", "ma che vuoi", "mi dici chi ti ha datto tutta questa confidenza?", "miè!".
Altro candidato è ronnie, il gattino di silvia, la nostra amica che vive a terni (un giorno farò un post con la catalogazione di tutte le silvie, promesso); ronnie è un gattone forte e coraggioso, pieno di sé, capo anche lui della casa in cui vive e, diciamoci la verità, a sua volta padrone incondizionato della povera silvia. Tra le sue indiscusse abilità, una incredibile capacità nel parare i winnie the pooh travestiti da varie cose - soprattutto da faro per le navi - che volano tra i gradini delle scale, che lui tratta come il suo regno e su cui si sbraga per scrutare l'attività nel salotto sottostante.
Discutendo con laura su chi dei due potesse essere il candidato più adeguato per la zampa di ginger, riflettevamo sul fatto che ormai essa è abituata al controllo incondizionato che ha su millo, e sembra quindi propensa ad un rapporto impari in cui lei comanda e lo sposo obbedisce, si mortifica e fa lo schiavetto. Con ronnie non potrebbe chiaramente essere così: è facile immaginare che ronnie, da maschietto di carattere quale esso è, la metterebbe subito al posto suo, in cucina a lavare le ciotoline per le crocchette o a cambiare il terriccio per la lettiera, e al primo suo "miè!" di protesta le rifilerebbe una zampettata per rimetterla in riga: "tu, femmina, che fai, miagoli pure?". Insomma, si potrebbe creare una triste storia di violenze domestiche, ma laura è possibilista e non si sente di escludere l'opzione: ha detto che magari a ginger piace così.

Altra grandissima abilità di ginger: rispondere al citofono.
Succede che quando qualcuno citofona a casa di laura, le vibrazioni prodotte dal suono fanno staccare la cornetta dalla sua sistemazione e questa precipita in basso. Il frastuono prodotto dall'evento - nonché il suono stesso del citofono - attivano immediatamente ginger, che si fionda all'ingresso e - è facile immaginare - si mette ad annusare il citofono, lo studia, lo scruta...insomma, si impiccia.
A quel punto, nel sentire una voce ignara che dalla strada chiede: "laura? Ci sei?" ginger...risponde! "Miaaaooooo!"! Una volta mi è successo: ho citofonato a laura che ancora non era rientrata e, allontanatami di pochi metri dal citofono, ho sentito un "miaaaooooo, miaaaaooooo" riecheggiare per viale mazzini. Sono corsa indietro, ho detto "ginger!" e lei di nuovo: "Miaaoooooo!". Ah, come è bello pensare che, di tanto in tanto, per una via seria e rispettabile di roma come viale mazzini, prossima alla sede rai di via teulada, vicina al tribunale e densa di uffici dei più svariati professionisti, riecheggi indisturbato il miagolio di ginger, che chiede "chi è?", interroga la cornetta del citofono, domanda "Desidera? Miao?!" e disperde i suoi interrogativi lungo i marciapiedi, tra i giardini in mezzo alla via e, perché no, lungo viale angelico, su su fino a piazza maresciallo giardino... Che meraviglia! Chissà quanti cagnolini l'avranno udita e avranno drizzato le orecchie avvertendo quel suono.

post scriptum Ringrazio laura e silvia che, con le loro confidenze, hanno reso possibile la realizzazione di questo post. Spero che la loro testimonianza spinga altre persone che si trovano nella loro stessa condizione a denunciare i sorprusi a cui, quotidianamente, i loro gatti le condannanano.
Altro ringraziamento speciale va a francesco simula, esperto miaologo che, grazie alle utilissime conversazioni, ha ispirato molte delle considerazioni qui riportate.
Miao a tutti.