lunedì 14 dicembre 2009

perché capricci

Come al solito è colpa della pecorella.
Mi è capitata in sorte a causa di irricostruibili combinazioni genetiche più o meno 31 anni fa, e da allora condiziona la mia vita quotidiana in modo imperscrutabile.
Ah, giusto, non tutti la conoscono: la pecorella sono i miei capelli ricci. Ora che mi trovo - tutto sommato per la prima volta in via così ufficiale - a farne le presentazioni, mi viene spontaneo chiedermi come e quando è avvenuto questo battesimo: so per certo che alle elementari i miei capelli erano solo i miei capelli, e non la pecorella; con altrettanta certezza, posso dire che al liceo i miei capelli non erano più i miei capelli ma erano la pecorella. Se dovessi scommettere del denaro o qualcosa di più prezioso, direi che l'"ego te baptizo pecorella" risale alle prove del "Così è se vi pare" del nostro laboratorio teatrale, durante il quarto ginnasio, nella primavera dell'anno di grazia 1994. Vai a capire come è uscita fuori. Chissà se qualcuno degli amici di allora che ho la fortuna di avere ancora vicino si ricorda qualche dettaglio in più...
Detto questo, è facile immaginare come una povera bambina sovraccarica di ricci come ero io sia cresciuta sul sottofondo musicale della nota cantilena "Ogni riccio un capriccio"; si aggiunga a ciò un carattere non proprio accomodante (gli eufemismi al limite della menzogna sono ammessi, nei blog, vero?) ed ecco che, trovandomi a dover definire, al fine di dare un titolo, una sintesi lunga una parola di un contesto come questo, ovvero un blog - che ancora non ho capito come interpretare: diario virtuale? Spazio di condivisione? Luogo di transito di opinioni per confronto e, perché no, esibizione? - la prima parola che mi salta alla mente - luogo da sempre sotto la giurisdizione della pecorella, che la riscalda e ne attutisce i colpi da quando è stata creata - è stata proprio capricci.

Capricciosa io?!?!
Io??????????

...Prima che insorgano schiere di ex-fidanzati inneggianti al fantomatico onor del vero, la smetto di fare la risentita e confesso tutto subito: sì, sono capricciosa.
Nomina sunt consequentia rerum, anche se, alla luce di questa sentenza, sembrerebbe piuttosto che i ricci siano conseguenza delle cose, ma allora bisogna essere certi che, nei meccanismi genetici che hanno dato vita a questo pezzo di donna (???), il gene della capricciosità sia stato definito prima di quello dei ricci, come se, accortesi che la chimica dei geni caratteriali aveva dato vita ad una personalità piuttosto litighina, permalosa e antipatica, le dinamiche microscopiche incaricate della strutturazione dei caratteri tricologici si siano prontamente adeguate inserendo la sequenza tacg-gcat-tcga o quale che sia corrispondente ai capelli ricci. Ponendo una pecora sulla mia testa.
Difficile prendere una posizione riguardo a queste congetture; il poco determinismo che regola i meccanismi ereditari davvero mi impedisce di continuare a ragionare su questo punto.

Ma che cos'è un capriccio?
Non so quale sia la definizione psichiatrica/psicologica del fenomeno, ma negli anni, ragionando su me stessa, ho imparato a capire che cos'è un capriccio per me. Ne ho individuato il meccanismo.
Alla base di un capriccio c'è un desiderio. Non un desiderio qualunque, ma un desiderio che coinvolga altre persone.
Mi trovo a desiderare di vivere qualcosa con qualcuno, dove "vivere" e "qualcosa" possono assumere le forme più svariate: vivere può essere fare, donare, ricevere, condividere, e qualcosa può essere una proposta, una serata, una promessa, un viaggio.
Sento che questo desiderio dovrebbe essere non solo mio, ma anche dell'altro, e comincio a sentire che è ragionevole aspettarsi che l'altra persona cooperi con me alla realizzazione di questa spinta. Il punto è che la cooperazione deve essere spontanea. Se per caso non è così, quello che posso fare è provare a dare delle indicazioni, a far capire all'altra persona ciò che desidero sperando che essa ritrovi questo desiderio dentro di sé e cominci ad attuarlo. Se però questo mio "suggerire" supera una certa soglia la situazione degenera e si instaura il capriccio. Perché a questo punto non vedo più spontaneità, e se anche l'interlocutore, alla fine, intraprende il percorso di realizzazione del nostro desiderio condiviso, io mi sento a disagio.
Insomma, non lo voglio più.
Non mi piace più.
Ecco perché il bilanciamento tra l'assecondare un desiderio che coinvolga altri e la valutazione degli sforzi che è ragionevole compiere per realizzarlo è un meccanismo delicatissimo, che va operato con cautela e con la massima consapevolezza delle conseguenze che ogni passo di questo processo potrà generare.
La miglior schematizzazione di quanto descritto finora è la frase che a volte mi sono sentita dire: ma come, hai fatto tante storie ed ora non lo vuoi più?
Eh già, è proprio così. Ma ho sbagliato io.
Con gli anni, con la maturità ho capito che l'insistenza non fa per me, proprio per i motivi di cui sopra.
Alcuni amici mi dicono che sono troppo orgogliosa. In parte è vero, ma proprio negli ultimi mesi ho capito che l'orgoglio non è altro che una forma di tutela dalle delusioni: se qualcuno "mi prega" per avere qualcosa vuol dire che ci tiene davvero, e sarà probabile che il mio slancio, allorché acconsenta a concederglielo, non sarà mal riposto. Dietro l'orgoglio non c'è alcun senso di superiorità, è solo istinto di conservazione. Buffo è che, appena ho individuato questo meccanismo dentro di me, ho smesso di essere così orgogliosa. Sì, lo so, uno psicologo direbbe che non è buffo per niente...

Meno orgogliosa sì, ma i capricci li faccio sempre. E continuerò a farli.
Forse quando avrò dei figli smetterò, perché a quel punto, se tra le altre cose erediteranno la pecorella, saranno loro a farne, ed io sarò quella che li asseconda, i capricci, che li interpreta, che li capisce, che li coccola, e mi intenerirò tantissimo. Sarà stupendo.

post scriptum La regina del mio terrazzo, durante questo dicembre parigino, è senza dubbio ornella, la bocca di leone. Presa al mercatino dei fiori vicino notre-dame che era un piccolo ciuffetto malandato, nel corso dei mesi è cresciuta e ha prolificato in modo impressionante, quintuplicando le proprie dimensioni e dando vita a decine di fiori rossi e bianchi davvero meravigliosi. Ferma restando la gioia di vederla così felice, non posso non chiedermi come diavolo faccia a continuare a fiorire nel mese di dicembre, quando ormai stiamo entrando in pieno inverno e le temperature sono davvero basse. Questa occorrenza mi ha incuriosito, così mi sono messa a studiare approfonditamente la botanica di questa pianta per capirla meglio e spiegarmi questa curiosa circostanza. Tra le tante indagini, ho cercato il significato di questo pianta nel linguaggio dei fiori. Be', sorpresa delle sorprese, ho scoperto che le bocche di leone sono il fiore del capriccio. Sono rimasta senza parole. Nel medioevo venivano indossate tra i capelli dalle fanciulle che respingevano i corteggiatori, e regalare bocche di leone è sinonimo, quindi, di indifferenza.
Che i miei fiori mi abbiano capito più di quanto io abbia capito loro?

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