sabato 20 febbraio 2010

In memory of Gregorio

This post is dedicated to the memory of a great soul, Gregorio's one, and to the meanness of a human being, me.

Yesterday I had a very nice dinner with my italian-spanish-french friends: we went to an indian restaurant, whose look was very suggestive and whose food was great (heavy, but great).
In my infinite ingenuousness, while we were organizing the night - ok, actually all the organization was devolved upon the nicest french in the world, Morgan-Morganizator-Moranisor - my only doubt was about the spices present in the food, because I really don't like some of them and I want to avoid with all my energies that some of that seeds of cilantro, cumino etc enters in my mouth.
What a stupid woman I am (to say simultaneously "stupid" and "woman" is redundant, I know)!
I was so occupied in worrying about spices, that neither for one moment I consider the possibility that, instead of strange, exotic seeds, I was eating...an insect! A black insect, with a lot of legs and with a terrible look.
At the very beginning, while having my icecream, I tasted something very bitter, and I started complaining about having eaten something like a piece of plastic or something like that.
After some other spoon of icecream, I noticed a black object in the cup, so I recovered it and removed all the residual icecream on it. And at that very point, I understood how ingenuous I was in spending my time after spice-related problems, while I should have rather concentrated on the presence of animals inside my food.

After that incredible discovery, I showed it to my friends whit a disgusted look, but some of them - probably one more sensible than me to all the wonderful forms that the life can assume on this earth - explained me that that being I was looking at with such a bad face was Gregorio, that it had a life and that probably I ate, some minutes before, one of its best friends. No! It was even worse: probably I ate its girlfriend/wife, with which it was doing their honeymoon in Paris! Probably in the very same moment that the spoon captured one of them to take it to my mouth, they were planning their life together: having some kids, buying a home and, why not?, renting a camper to travel all around the world. The situation was collapsing. It was a real drama.
I felt guilty, insensible and really wretch: in front of such a tragedy I was only able to say: che schifo*!



* in italian: it is disgusting!

giovedì 11 febbraio 2010

a love story

È proprio vero che paris è la città dell'amore.
Pensavamo che laura fosse venuta per rilassarsi, per vedere le sue care amiche, per fare shopping o visitare la tour eiffel e invece no, era tutto scritto nel destino, le forze cosmiche già cooperavano per realizzare il loro disegno amoroso, sfruttando noi povere ingenuee, vittime della stupida illusione del libero arbitrio, per attuare i loro porci comodi.
La terra tutta ha girato in questi ultimi mesi per far incontrare, in una fredda domenica invernale di paris - anzi, no, di thiais, piccolo paesino a sud della capitale, che ospita una delle tante istanze terrestri di ikea (non mi sento di escludere che essa esista anche sul pianeta degli alieni) - ben e juliette, destinati ad un amore profondo e ad un futuro di passione in questo mondo complicato e sottosopra.
Qualche insensato definirebbe ben una pupazza, un inutile pezzo di stoffa pieno di altrettanto inutili pezzi di gommapiuma - guardate che sto rischiando la vita dicendo queste cose, quindi abbiate il buon gusto di seguirmi e di figurarvi con attenzione tutto ciò che vi descrivo - ma commetterebbe un grosso errore. Ben è una bellissima giraffina di pelouche di ikea (ci vedete insieme in una delle foto in basso), e ha dentro di sé un mondo pieno ed insospettabile.
L'ho incontrato per la prima volta da ikea, in un cestone pieno di tanti suoi simili: ci siamo visti, ci siamo piaciuti - si sa come vanno queste cose - e ho deciso di comprare il suo cuore. A dire la verità lui e il suddetto cuore erano dati via con lo sconto, ma questo non sminuisce la passione che mi ha spinto e ciò che dopo è nato tra noi.
Proprio mentre io conquistavo/acquistavo ben, laura ha fatto altrettanto con juliette, che però - le è stato chiaro fin dall'inizio - il destino non aveva destinato a lei ma alla nostra amica e compagna di avventure ilaria; laura, da donna di mondo qual è, si è adeguata al suo ruolo di intermediaria e, senza storie o drammoni, ha portato juliette a quest'ultima.
Il resto lo potete immaginare: quando ci siamo ritrovate tutte e tre da starbucks e ila ha tirato fuori dalla busta juliette, eccola là che ben - che tenevo tra le braccia - si è subito scosso, smosso, turbato, e alla di lei vista la sua vista si è annebbiata ed è caduto a terra vittima dell'emozione.

Che bella storia!

Sì, ma non è tutto. Il dettaglio numero uno è: perché la giraffina si chiama ben? Chi mi frequenta in questo periodo sa del drammone che è in corso dentro di me, per cui, per la prima volta in vita mia, mi trovo a subire il fascino di un cattivo. Tutto è cominciato quando, sotto natale, i miei cari amichetti hanno creato una pressione psicologica ed una tale curiosità in me riguardo alla fortunata serie lost, che, tornata a parigi, ho cominciato a vedermela. Dopo qualche inciampo iniziale dovuto alla mia paura di trovarmi di nuovo intrappolata nel complotto alieno, mi sono fatta prendere dai casi di quei poracci e...mi sono invaghita del loro nemico numero uno, benjamin linus: si prende gioco di loro, li manipola, ha fatto fuori un bel po' di gente ma...è il mio eroe! Lo trovo bello, affascinante, interessante e dolce. Dirò di più: guardandolo intuisco il passato profondo e avvincente che ha dietro, e mi faccio avvolgere dal suo fascino e dagli intriganti ammiccamenti del suo vissuto.
Il caso - meglio: gli sceneggiatori di lost - vuole/vogliono che ben sia innamorato di tale juliet, per la quale una sera ha preparato un arrosto fantastico, e con la quale è dolce e premuroso, tanto da ammazzare gli altri suoi spasimanti e averla intrappolata lì con lui per tre anni. Insomma, un uomo da sposare.
Non capisco proprio perché le mie amiche femmine - laura in particolare - non supportino questa mia passione. Oltretutto, ben è raffinato, acculturato, suona il pianoforte, cita uomini e topi a memoria e accoglie le donne con i fiori. Non venite a dirmi che è poco.
Va be', nel frattempo ammazza gente e manipola innocenti, ma si sa che queste cose possono capitare, in una relazione amorosa.
Insomma, ho deciso di celebrarlo con la giraffina, e subito essa è diventata la mia versione personale di ben, con tutti i suoi poteri e le sue capacità.
Mentre, al tavolino di starbucks, discutevamo con ilaria il nome della sua giraffa, questa, sentita la nostra storia riguardo all'origine del nome ben, si è subito dimostrata entusiasta all'idea di chiamarla juliette (ha voluto francesizzare juliet): probabilmene ha capito che non è il caso di contrariare ben e ha accettato di buon grado il battesimo.
I due si sono fidanzati immediatamente, e tutto sarebbe stato perfetto se solo ilaria non avesse pensato bene di rompere l'idillio dicendo seduta stante che quello sarebbe stato un fidanzamento in bianco.
Al suono spinoso di queste parole ben, da uomo che sa stare al mondo, ha chiesto la mano di juliette. Questa ha accettato, tra la grande emozione di entrambi e di me, ilaria, e laura, che in fondo siamo mamme e madrine dei due piccioncini (che schifo, ho nominato i piccioni) e che abbiamo a fatica mascherato la commozione.

Come ci insegnano la storia e la vita, però, non ogni aspetto delle cose può essere semplice, e l'ostacolo principale che intravedo nei prossimi, felici mesi di preparativi è il pessimo carattere di ben.
Per quanto riguarda me, a dire il vero, non ho grandi problemi: ben mi vuole bene e sa che mai gli mancherei di rispetto. Chi veramente scherza col fuoco è laura, che si ostina a maltrattarlo e a diffamarlo, per giunta davanti a estranei.
Facciamo un esempio e mettiamo a tacere ogni scetticismo. Domenica sera, mentre ci accingevamo con laura a guardare una puntata di lost, questa ha pensato bene di farmi trovare ben incastrato a testa in giù sulla testiera del letto. Le toglieva spazio, ha detto.
A nulla è valsa la mia corsa frenetica per liberarlo e per ristabilire la distribuzione spaziale delle sue stoffe e della sua gommapiuma: il danno ormai era fatto e ben si era segnato tutto.
Il giorno dopo, guarda un po', laura aveva l'aereo alle sette di mattina, e si è quindi alzata alle 4:45 per essere in tempo ad orly.
È uscita nel freddo di parigi, ha corso per prendere il bus, è arrivata alle 6:15 nell'aeroporto abbandonato dell'alba e...ha scoperto che il volo era in ritardo e che sarebbe partito alle dieci. Alé.
Qualcosa mi dice che la prossima volta terrà le mani a posto.

Per il resto, nonostante l'entusiasmo e la felicità in vista del lieto evento, nei prossimi mesi ilaria ed io saremo molto indaffarate con l'organizzazione del matrimonio del secolo, e verremo senz'altro sottoposte ad un forte stress mentale ed emotivo: ben è esigente ed ogni dettaglio è importante, e né lei né io abbiamo intenzione di fare una brutta fine perché, che so, scegliamo i tovagliolini del colore sbagliato o il salmone arriva freddo in tavola.

lunedì 1 febbraio 2010

why "capricci"? - silvia's too many whims

As usual it is a pecorella’s fault.
I had it by chance after a series of incredible genetic combinations more or less 31 years ago, and since then it is affecting my everyday life in an unpredictable way.
Uh, you’re right, I have to introduce it: “la pecorella” – literally, in italian, the little sheep – are my curly hair. Now that I have to introduce it – definetively for the first time in such an official way – I find natural to investigate on the origin of this name . I know for sure that at the elementary school my hair were just my hair, while I can state that at the high-school my hair were no more my hair but they were “la pecorella”. If I should bet some money on it, I would say that the “ego te baptizo pecorella” dates to the rehearses of “Così è se vi pare” of our high-school drama company, during the first year, in the spring of anno domini 1994. I wonder if some of my old friends can remember some further detail…However, it is quite easy to imagine how a poor girl with a lot of overwhelming curlies as I was, grew up on the soundtracks of the well-know singsong “Ogni riccio un capriccio” (in english: one whim for every curly). Let’s add to it a nature not so…accomodating (euphemisms at the limit of the lie are admitted in the blogs, aren’t they?) and here I am, trying to find a title for this blog (actually, what is it? A diary? An enviroment to share feelings, ideas etc?), and concluding that the best synthesis that appears in my mind – place that has always been under the little sheep jurisdiction, that warm it and protect it since it was born – it is definitively “capricci”, whims.

Capricious??!?! Am I capricious?? Me????

Ok, ok, before a crowd of ex-boyfriends will rise up to defend the concrete, I stop pretending to be upset with this insinuation and I admit it at once: I am capricious. Nomina sunt consequentia rerum, even if, following this sentence, it would rather seem that the curlies are consequences of things, but then we should be sure that, in the genetic mechanisms that gave life to this wonderful piece of woman (???), the whim-dedicated gene was defined before the curly-devoted one, as if the microscopic dynamics assigned to the structuration of the tricological character, having noted that the chemistry of the behaviour-controlling genes gave birth to a quite complex personality, always argumenting, touchy and unpleasant, rearrange them peremptorily inserting the tac-tgc-gca sequence – or whatever it is – corresponding to curly hair. And putting a sheep on my head.

But what is a whim?
I have no idea about its psycological/psychiatric definition, but during last years, analysing myself, I learnt to understand what a whim is for me. I found the mechanism at its basis.

At the very beginning there is a desire. Not a simple desire, but a desire regarding even other people. I find myself desiring to live something with someone, where “to live” and “something” can assume a lot of various forms: to live can be to do, to give, to get, to share, and something can be an offert, an evening, a promise, a journey. I feel that this desire should be not only mine, but even of the other person involved in the business, and I start to think that, reasonably, my partner will cooperate with me to realize this impulse. The crucial point is that this cooperation must be spontaneous. If, by chance, the situation si different, what can I do is trying to give some indication, suggest to the other person what I would hope that he/she finds inside him/her. In the unlikely case, however, that my “suggesting” goes beyond a certain threshold, situation collapses and the whim arrives. And the reason is because I cannot find any spontaneity in the choice, and even if the partner, in the end, starts its way towards our shared desire, I feel some desease. In few words: I do not want it anymore. I don’t like it anymore.

This is the reason why the balancing between seconding a desire and the evaluation of the efforts that is reasonable to do to accomplish it is a very delicate mechanism, that has to be operated cautiously and being perfectly aware of the consequences that every step of the process will generate.

The best schematization of it is the sentence that, very often, people addressed to me: how did it happen? You wanted it so strongly and now… you do not want it anymore?

Yes, exactly. But it’s my fault.

Growing old, with the adulthood, I understood that insistence is not for me. Some friends tell that I am too proud. It is partially true, but in the very last months I understood that pride is nothing but a kind of defence from disappointments. If someone begs me, indeed, to have something, it clearly means that he really cares for it, and that probably my desire, my effort – in the case I will consent to give it – will be well invested. Pride hides no superiority: it is just instinct of self-preservation. Funny enough, as soon as I identified this mechanism, I stopped being so proud. Yes, I know: a psychologist would say that it is not strange at all…

Not so proud anymore, but I am still doing whims. I will always do whims. Probably when I will have children I will stop, because then – if between the other aspects they will inherit the little sheep, my curly hair – they will have the duty of doing whims, and I will interpret the role of the gentle mother that second those very same whims, that understand and recognize them, and it will touch myself. It will be wonderful.

post scriptum The queen of my balcony, during this december in paris, is without any doubt ornella, the snapdragon. I took it at the old flower market close to notre-dame when it was just a tuft in a bad shape, but month by month it grew up impressively, increasing its dimension and producing dozens of wonderful flowers red and white. In spite of my heart full of joy for its happiness and health, I cannot help me in wondering how the hell it is possible to continue flowering even in december, when we are in the real winter and temperatures are really low. This occurrence made me think, so I started studying the botany of this plant in order to better understand it and shed a light on this strange circumstance. Among the various investigations, I found out that snapdragons, in the flower language, represent the flower of the…whimp! I was astonished. In the middle-age young ladies wore them in their hair in order to repel undesired admirers. To give this flower as a gift, then, means indifference.

And if my flowers understood my nature more than I understood theirs?!

two blogs or not two blogs, that is the question...

...and shakespeare will forgive me if I borrow the question of his guy, Hamlet - it is the mother of all the questions, actually: but this is a very important blog (ahahah), with an international target (ahaahahhaha), so at least we have to quote THE QUESTION...and, in case, I don't like shakespeare too much, so if he will be offended by this and will decide to break our friendship I will survive - to share with my friends the drama acting inside me in these days, while I have to decide how to manage this multi-language world where some people speaks english, someone italian, someone french and someone - it sounds incredible, I know - even...icelandic! Reading-this-blog-right-now-icelandic-people, please do not rise up! I am joking!

In any case, this occurrence of linguistic multiplicity is a real disaster.

This urgency to chat and to talk and to write cannot be confined in one single language anymore, so I decided to write my blog also in english. That's not all, don't be hasty. The point is: should I open a new blog? Should I add an english version just at the bottom of every post?
I do not know.
It is not easy to keep the atmosphere inside a post translating it to a different language, so probably I should only check in which language I wake up in the morning, which are the phonemes that better describe my feeling and my life of that very same day, and then use it to write my post.
However, I am not sure.
Probably my whole life will be not enough to take a decision.

In the meantime I translated my first post, "why capricci" (capricci: whims), the one introducing my blog: let us post it and see what happens.

Ciao a tutti, fate i bravi. (I am not traslating this last sentence. It is a secret code between italians... No, I am joking, it is nothing serious.)

venerdì 29 gennaio 2010

pokezza femminile

E con questo non intendo né convertirmi al tristissimo linguaggio adolescenziale, dove il povero fonema "ch" viene reso con una lettera che, per quanto ne sa l'alfabeto italiano, neanche esiste, né riferirmi alla superficialità femminile, che spesso si traduce in gusti, passatempi e discorsi effimeri e vani.
Mi riferisco alla nuova forma di interazione umana elaborata da facebook, ovvero il poking, consistente nel premere un pulsantino che, immediatamente, produce la comparsa di una manina che ci batte la spalla - virtualmente, è chiaro - e ci fa ricordare che quel nostro amico esiste, ci pensa etc. Insomma, credo che sia l'evoluzione informatica di quello che una volta erano gli squilletti al telefonino, attraverso cui tanti giovani si dicevano che ognuno ricordava l'altro, non l'aveva dimenticato nelle ultime quattro ore e vivevano tutti felici e contenti. Quante amicizie sono state alimentate da queste attenzioni (per cui, ahimé, capisco di essere già troppo vecchia)!
Insomma, nonostante sia vissuta serena per un paio d'anni senza necessità di pokaggi vari - ne ho avuto solo una breve esperienza che non sto qui a raccontare - l'altro giorno, essendo inserita in modo coatto in uno scambio di mail tra le mie amiche laura, silvia m e ilaria, mi sono ritrovata all'interno di una guerra dei poke che adesso non mi lascia vivere serena e che si è andata ad aggiungere alle già pesanti incombenze idrauliche della settimana che sta finendo proprio in queste ore.
Concedo questo scorcio di interazione femminile perché vorrei far capire agli amici maschi (i quali trovano sempre da ridire sulle difficoltà di interagire con le donne, sulla impossibilità di prevederne reazioni o pensieri e sulla mancanza di quiete che caratterizza ogni avvicinamento ad una di esse) che, per quanto complicato possa essere realizzare un sereno equilibrio di coppia se, all'interno di essa, è presente almeno un elemento di genere femminile, le interazioni tra gruppi di femmine sono ben più spietati e, in confronto ai miseri screzi maschio-femmina, si avvicinano, per entità e complessità, a vere e proprie lotte tra titani.
Insomma, manco tra noi noi femmine riusciamo a vivere serene.
Il caso ha voluto che, qualche mese fa (loro non lo sanno ma io ho ricostruito attentamente tutta la genesi della vicenda), la nostra amica silvia m abbia chiesto, su facebook: ma che cosa vuol dire to poke?
Al che ilaria - incoscientemente presentata a silvia m da laura, con l'effetto di produrre una miscela esplosiva di femmine che, se erano difficili da gestire una per una, in coppia sono davvero insopportabili - si è subito sacrificata e proposta per sperimentare la funzione, pokando silvia e producendo l'effetto descritto sopra.
Ingenua come sono, pensavo che la cosa fosse finita lì, e invece proprio pochi giorni fa, finendo disgraziatamente in questo giro di mail con minacce di pokaggi vari, ho scoperto che per le mie compagne tanto felice era stata l'esperienza del primo poking che hanno pensato bene ti continuare a pokarsi da allora, senza smettere mai.
Capito in che guaio ero stata infilata ho parlato con laura, la più saggia delle tre, la quale mi ha spiegato che il punto è ripokarsi in continuazione non appena ci si trova pokate da una delle partecipanti. E va be', ce la potevo fare. Falso!!! Non appena mi sono loggata su facebook mi sono trovata pokata da tutte e tre le disgraziate, e a quel punto, sommersa da quel mare di manine adducenti, ho chiesto a laura se ero morta; insomma, se mi ero fatta ammazzare subito. Che ne so, ho pensato che se uno si trovava pokato da tutti simultaneamente moriva e finiva il gioco. Invece no, menomale.
Allora mi sono detta che finché c'è vita c'è speranza e le ho pokate a mia volta.

Il punto è che, in questo scambio di pokezze, si traducono disagi, malumori e arrabbiature provenienti dai pià svariati ambiti dell'esistenza.
Il caso vuole, infatti, che laura venga su a parigi il prossimo fine settimana, il che vuol dire che passeremo insieme un bel weekend lei, io e ilaria. E silvia m dove la mettiamo?
Drammone di silvia m che si sente esclusa, e che freme al pensiero che noi staremo qui tutte insieme senza di lei e NON LA PENSEREMO e anzi, se ci andrà, NE PARLEREMO PURE UN PO' MALE!
Ovviamente silvia m sarebbe la benvenuta qui con noi, ma immagino che abbia impicci lavorativi e non possa allontanarsi da terni.
Questo ci giustifica e ci porta ad una assoluzione? Assolutamente no! Dato che silvia m non poteva venire avremmo dovuto avere il buon gusto di starcene ognuna per conto proprio, chiuse dentro casa, meglio se piangendo e maledicendo il destino crudele che ci fa stare tanto lontane da silvia m.
Ecco, credo che questo avrebbe lasciato silvia m tranquilla.
La cosa più drammatica è che quasi quasi io mi sento in colpa sul serio!
Va be', se mai silvia m si arrabbierà le dirò che mi ha fatto tanto soffrire scoprire che loro giocavano a pokarsi già da mesi e nessuna di loro ha sentito l'esigenza di coinvolgermi, di far entrare la loro amichetta silvia p nel poking business e di condividere con me un tanto gioioso passatempo.
Ilaria e laura se la vedranno per conto loro: non so come potranno giustificare tanta indelicatezza nei confronti di silvia m, che dicevano essere loro amica.

Questo per dire che la vita tra femmine è un casino. Pure tra femmine belle, simpatiche, intelligenti e spiritose come, guarda un po', siamo io e tutte le mie amiche che, nonostante la prossimità ai picchi della civilizzazione e del buon senso, sempre donne rimaniamo e quindi siamo stressanti in primis con noi stesse.

Ora torno a controllare la situazione del pokaggio su facebook, perché stamattina già sono stata attaccata da ilaria s (ma ho risposto prontamente all'attacco!) e non vorrei aver già subito altri attacchi da silvia m e laura.

Si preannuncia un weekend faticoso.

giovedì 28 gennaio 2010

tra le goccioline

Lo dirò subito, questa è una storia a lieto fine.
Preferisco specificarlo in anticipo perché non vorrei che alcuni dei lettori, presi dallo sconforto nel sentire narrate vicende tanto inquietanti, rinunciassero ad arrivare fino in fondo preferendo non sapere che fine ha fatto la loro amichetta silvia, ragazza tanto cara prima che affogasse nelle acque calcaree di casa sua.

Che amarezza svegliarsi una mattina con un forte giramento di testa, nausea e mal di stomaco, e finire col piedino - protetto solo da una inefficace pantofolina di ikea - nel nuovo laghetto nato nottetempo tra il termosifone accanto alla finestra e il mobile tv del monolocale!
Che brutto constatare che la geografia della nostra casa è cambiata, e lì dove c'erano pianure sorgono ora laghi, mentre, forse, nuove montagne si creano tra i legni del parquet che tanto amavano e che ci piacevano un sacco così com'erano!
Che fatica fare avanti e indietro dal bagno per asciugare litri e litri d'acqua, con la nausea che nel frattempo è peggiorata e ci rende ancor più estenuante la già estenuante operazione di asciugatura!
...Ma che soddisfazione far entrare in casa l'idraulico e sentirlo complimentarsi per l'ingegnoso sistema di scolo messo su (sotto consiglio di paoletto) per indirizzare la perdita verso un adeguato recipiente!
Insomma, esco da una pesantissima settimana di convivenza con le goccioline del termosifone, che cadevano giù dal rubinetto di quest'ultimo e che sono andate vicine ad avere la meglio su di me.
Lo strazio di questo ticchettio - che, come mi ha fatto notare oggi luisa al telefono, evoca il linguaggio alieno e quindi è già di per sé malvagio - mi ha accompagnato notte e giorno da sabato scorso, impedendomi di andare tranquilla al lavoro o di dormire la notte senza la paura che mi sarei risvegliata, l'indomani, con una geografia ancora nuova dentro casa.
Per fortuna oggi l'idraulico, bontà sua, si è degnato di venire a riparare la perdita, dopo che ieri mi ha dato buca per oscuri motivi e mi ha costretto ad un'altra notte di convivenza con le goccioline.
Per sopravvivere alla presenza acquatica coatta sabato, alle due del mattino, ho dovuto seguire il consiglio di paoletto, che mi suggeriva di controllare il ticchettio collegando la zona di formazione della gocciolina ad un pezzo di filo per cucire, e facendo scendere quest'ultimo giù giù fino al recipiente dove raccoglievo l'acqua. Questa scelta si è rivelata particolarmente felice non solo perché ha evitato il tic tic notturno - o quantomeno lo ha attutito - ma soprattutto perché, permettendomi di reindirizzare la caduta delle goccioline verso il secchio grande del mocho vileda, mi ha concesso una autonomia di una decina di ore tra uno svuotamento e l'altro del recipiente, e non solo di poche ore come sarebbe stato con l'unica ciotola che entrava sotto il termosifone.
Gli ultimi due giorni la situazione è stata ancora più drammatica, perché la gocciolina ha partorito e ha prodotto una gocciolina figlia proprio accanto a sé. Quest'ultima, nonostante la tenera età, si è dimostrata capacissima di ripetere le azioni infestanti della mamma, e si è messa a gocciolare allegramente dal bullone accanto al rubinetto di controllo. Il nuovo arrivo ha richiesto quindi la creazione di un secondo sistema di scolo, posizionato accanto al primo, che per fortuna si è rivelato altrettanto efficace.

Va detto che la sfortunata occorrenza ha avuto l'effetto positivo di farmi capire la vera natura di alcuni oggetti che avevo dentro casa.
Il secchio del mocho non è il secchio del mocho, ma un raccogli-goccioline-ad-alta-capienza, grazie al quale la durata dei miei sonni è stata mantenuta su valori accettabili, senza subire l'assalto di improbabili sveglie per svuotare le ciotoline poco capienti.
Il filo da cucire non è filo da cucire, e la sua natura non è quella di reggitore-di-lembi-di-vestiti-tagliati, ma è una guida-per-goccioline-che-tentano-di-costruirsi-una-nuova-vita-al-di-fuori-del-termosifone!
Ma soprattutto (e qui la gioia è stata massima): la strana mattonella gialla a forma di disco con il pesce sopra, che avevo comprato a genova l'anno scorso senza sapere che cosa fosse - ho passato un anno a trattarla come poggia-macchinetta-del-caffè-bollente, che scema! - in realtà non è altro che un reggi-fili-attraversati-da-goccioline-nel-secchio-pieno-d'acqua!
Che bello aver capito in profondità la natura di questi curiosi oggetti che tenevo in casa: è proprio vero che spesso siamo superficiali nel giudicare ciò che abbiamo davanti.

Voglio chiudere questo post con una nota di ottimismo, confessandovi che non tutti gli abitanti di casa mia sono stati scossi da questo drammone idraulico. Qualcuno è stato anche felice.
Parlo della mia orchidea caterina che, tratta in inganno dalla fortissima umidità che lo sgocciolare continuo ha prodotto nel nostro piccolo appartamento, ha creduto che, in questo curioso stralcio di amazzonia nel cuore di parigi in cui si trova a vivere, fosse arrivato il periodo delle piogge, e ha cominciato quindi a fare i getti nuovi. Che bellezza, non vedo l'ora che fiorisca di nuovo! Produce dei fiori così incantevoli, quando ci si mette, che rendono accettabile ogni pena idraulica o climatica patita. La mia tosse non è d'accordo, ma pazienza: domani comprerò lo sciroppo.

lunedì 25 gennaio 2010

au musée d'orsay

C'è poco da fare, ogni volta che entro nel museo d'orsay mi riconcilio con il mondo.
Dirò di più, mi riconcilio con l'universo, e con questo intendo dire che la riconciliazione contempla non solo gli abitanti del pianeta terra, ma anche eventuali abitanti di pianeti extraterrestri, qualunque sia la loro forma, ovina o no.
Ieri sono stata a vedere la mostra sull'art nouveau: bella ma non entusiasmante, se non fosse per un water a forma di mosca che ha catturato l'attenzione di tutti gli astanti, e ha portato la mia mente a inquietanti interrogativi sul suo utilizzo che non starò qui a condividere con voi per spirito, come dire, di discrezione.
Sebbene la mostra non fosse nulla di che, a renderla speciale c'era il contenitore in cui era situata, ovvero la splendida ex-stazione che oggi funge da museo e che raccoglie i capolavori dell'impressionismo e di parte del novecento (van gogh, gauguin). Quando sono lì mi sento felice, non trovo altro modo per esprimere ciò che provo: è come una gioia del caffè senza caffè. C'è un'atmosfera, un senso di bellezza così coinvolgente che difficilmente riesce ad essere piegato dai dispiaceri quotidiani che sicuramente gli avventori del museo si portano dentro. Ogni creatura umana dotata di un minimo di sensibilità nell'avvertire il mondo deve rimanere folgorata dalla circostanza - contingente quanto predeterminata da una precisa volontà: oggi vado al museo - di trovarsi in mezzo a quei capolavori.
Primo tra tutti, per quanto mi riguarda, il bal au moulin de la galette di renoir. Per quanto ne so ora che ho trent'anni, è il quadro che amo di più al mondo (non so se sarà ancora così quando sarò una pecorella quarantenne, ma se gli alieni non mi rapiscono nel frattempo prometto che vi farò sapere).
Ieri ho passato venti minuti buoni a rimirarlo e, come ogni volta che me lo trovo davanti, ho scoperto dettagli nuovi che prima non avevo notato. In particolare, ho fatto caso alla testa bionda di una bimba che spunta sul lato destro della tela, e che, a discapito dei suoi vicini che guardano incuriositi verso est, guarda dinnanzi a sé, verso il nostro spazio, e chissà che cosa pensa.
Tra l'altro quel gruppo di persone che volgono lo sguardo verso un punto indefinito e per noi che guardiamo loro, ahimé, inaccessibile, è uno degli interrogativi che mi accompagna e che sempre mi accompagnerà quando penso a renoir, no, di più, quando penso alla pittura in generale e, perché no, all'intero millennio passato e a ciò che ci ha lasciato.
Ci sono poi i ballerini, che chiaramente citano quelle altre coppie che danzano in città e in campagna: a me piace pensare che siano proprio quei ballerini campagnoli che, in un giorno di primavera, hanno deciso di prender parte alla festa del mulino.
A proposito di questi ultimi, le indegne inservienti del museo ieri mi hanno riservato un gran brutto dispiacere.
Il caso vuole che di questi tempi il museo d'orsay sia in fase di restauro, così che le opere esposte nei piani alti - impressionismo, post-impressionismo, van gogh etc - siano state redistribuite al piano terra, tra le ali destra e sinistra del museo.
Data questa redistribuzione, ed essendo ieri la prima volta che tornavo al museo dopo questi cambiamenti, non ero più al corrente della dislocazione delle varie opere, e ho dovuto pertanto riscoprirla. Il punto è che non riuscivo a trovare alcune delle opere più belle di renoir: a parte la danse à la ville e la danse à la campagne, non mi ero ancora imbattuta neanche ne la balançoire, l'altalena, l'unico vero antagonista al bal au moulin nel possesso del mio cuore.
Dispiaciuta per questo mio personale fallimento, e ferita nel mio pessimo orgoglio che mi impedisce di chiedere ai commessi dove sono i libri nelle librerie o i quadri nei musei - devo essere in grado di scovarli da me! - sono andata da una delle signorine che controllavano il museo e le ho chiesto dove potessi trovare quei quadri, dato che non riuscivo ad individuarne la posizione dopo lo spostamento dal quinto piano, e se erano presenti o meno nell'esposizione.
Questa mi ha guardato un po' interdetta, poi mi ha detto: renoir è qui, controlla da queste parti, come se stesse parlando con un'avventrice casuale di un negozio di abbigliamento la quale avesse chiesto se era disponibile quella giacca jeans taglia m vista l'altro giorno, e le stesse rispondendo: quello che c'è è tutto esposto, se non la vede vuol dire che è terminata.
Se c'è è qui altrimenti manca??? Ma come è possibile che non sappia dove siano quei quadri???
Alla mia espressione perplessa si è sentita di argomentare giustificando la sua ignoranza col fatto che i musei spesso prestano i quadri e che forse quelli non erano ancora rientrati. Mi ha detto che c'era stata una mostra a gran palais e che forse i quadri erano lì...Sì, le ho risposto, la mostra c'era stata ed era pure finita, ma lì erano presenti solo i due balli e non la balançoire, quindi questo non risolveva il mistero. Mistero secondo solo a quell'altro mistero, ben più grande e dalle conseguenze più scoraggianti, per cui una maschera di uno dei più importanti musei del mondo non sappia se sono presenti o meno tre tra i quadri più prestigiosi che la locale collezione vanta.
Sic.
Mi sono rassegnata e, dato che dei quadri non c'era traccia, sono rimasta a contemplare il ballo al mulino de la galette. Ogni volta che me lo trovo davanti avverto un curioso senso di riconoscimento, e mi sembra quasi di reincontrare un vecchio amico, tanto che mi verrebbe da chiedergli come sta, che cosa ha fatto a natale, se ha festeggiato l'anno nuovo con qualche monet o se è rimasto in famiglia (difficile, visto che tre dei suoi parenti sono spariti misteriosamente dal museo) etc. Questo senso di familiarità mi emoziona sempre molto: forse è la sensazione più bella che provo quando ce l'ho davanti, e credo che in realtà non sia altro che una forma della gratitudine per questa presenza formidabile, che si converte in consuetudine e riconoscimento per farsi più umana e più fruibile alla mia anima.
Purtroppo durante questa contemplazione estasiata non sono mancati i dispiaceri: un buon settanta per cento dei passanti si fermava, buttava un occhio e diceva: uh, guarda, questo è monet!
NO NO E POI NO!! Non è monet, è renoir!
Mi dispiace, a furia di sentire decantata questa ammirazione - spesso, ahimé, basata più sulla familiarità del nome che su basi estetico-artistiche - per monet, questi è cominciato a starmi antipatico. Bravissimo, per carità: ma renoir è superiore. E chi vuole litigare con me per questa mia affermazione faccia pure, sono pronta.
Insomma, un branco di bifolchi che neanche si sprecavano a leggere il cartellino per controllare la paternità dell'opera.

Nonostante tutto questo renoir e la bellezza della sua pittura ci ha redenti dai nostri peccati di tracotanza, presunzione e ignoranza, e ci ha purificati dai nostri errori con le espressioni umanissime che dona ai suoi personaggi e con l'uso sapiente che fa del bianco. Solo nelle sue opere mi sembra di scorgere dei bagliori veri: ogni volta che arrivo nell'ala del museo che lo contiene e, senza rendermene conto, cominciano ad entrare nel mio campo visivo le sue opere, ho come la sensazione di percepire dei bagliori, e mi sembra quasi che ci siano, sulla tela, schegge riflettenti che deviano la luce delle lampade verso il mio sguardo. In realtà è solo renoir che ha capito del bianco e del suo utilizzo qualcosa che noi non sappiamo.

Mentre me ne andavo, riflettevo sul fatto che varrebbe la pena farsi tre ore di treno per passare anche solo un minuto ad ammirare quel quadro. No, di più: varrebbe la pena farsi tre ore di volo, o anche un volo intercontinentale, o anche...costruire un'astronave, partire da vega, parcheggiare su una chiatta sulla senna e venire a contemplare tanta bellezza. Parlo con voi, signori alieni: anziché fare i cretini con i vostri test e sciupare il vostro tempo a meditare attacchi alla terra o primi contatti che mi coinvolgano - per non parlare dei biechi mezzucci sfociati nei travestimenti da pecorelle - perché non venite al museo d'orsay a vedere renoir e ve ne state zitti e muti e, una volta tanto, abbozzate?
Mentre camminavo via dal museo e correvo verso la fermata del 68 che mi aspettava lungo la senna, pensavo che dopo tanta gioiosa contemplazione anche le paure e i rammarici più profondi che sento in me mi sembravano attutiti, e meditavo sul fatto che in quel momento non avrei avuto paura né di gestire interazioni aliene né di trovarmi ad interloquire con stormi di piccioni starnazzanti e rumorosi. Avrei azzittito i due insiemi funesti con uno sguardo, li avrei messi in fila davanti al bal au moulin de la galette, piccioni a sinistra e alieni a destra, possibilmente mano nella mano (meglio: mano-a-tre-dita nella zampetta picciona), e avrei mostrato loro di che cosa siamo capaci. E guai a chi pigola, tuba o fa ticchiettii fastidiosi. Zitti e muti. Questo avrebbe provato loro l'abilità umana e li avrebbe incitati al rispetto, ne sono sicura. Dopo, finalmente riappacificati e pieni di una nuova, inaspettata stima reciproca, ce ne saremmo andati tutti quanti insieme ad ubriacarci in qualche brasserie, chi con il becchime, chi con l'acido solforico e chi, come me, col succo di frutta, visto che sono astemia.

Ha ragione dostoevskij: la bellezza salverà il mondo.