sabato 19 febbraio 2011

continui sorprusi e mortificazioni ad opera degli specchi: io dico basta!

Basta, ho deciso: è il momento di essere coraggiosi. Non posso più tacere di fronte ai sorprusi che da tutta la vita subisco ad opera degli specchi: le continue umiliazioni, gli sfottò, le prese in giro, le trappole...Ho quindi deciso di scrivere un post su questo blog per denunciare le amarezze di una vita in un mondo di specchi e vetrine e per cercare un riscontro nelle mie amiche femmine, al fine di sentirci meno sole nei dispiaceri che quotidianamente ci attanagliano quando uno specchio ci si para davanti.

Allora, cominciamo con una considerazione da fisico: IL MONDO E LA NOSTRA IMMAGINE IN ESSO NON SONO INVARIANTI PER CAMBIAMENTO DI SPECCHIO.
Mi spiego meglio. Prendi un - che ne so - martedì mattina in cui stai finendo di prepararti per uscire di casa: vai in bagno, ti guardi, ti riguardi, ti riguardi, ti riguardi (e, per essere realisti: ti riguardi, ti riguardi, ti riguardi, ti riguardi), e decidi che ciò che vedi è sufficientemente dignitoso e puoi azzardarti ad uscire di casa.
Prendi l'autobus, prendi la macchina, vai a piedi....il mezzo non conta: ciò che è certo è che ad un certo punto ti si parerà davanti una fottutissima superficie riflettente che inevitabilmente ti proporrà l'immagine di un povero mostro spettinato che cammina per la tua stessa strada, con il tuoi stessi vestiti, con la tua stessa borsa...Se la lista delle similitudini terminasse qui poco male, le coincidenze esistono: il vero dramma si consuma se, non sazi del sospetto che ci si insinua dentro e forse ingenuamente speranzosi in una smentita, andiamo ad aprire la borsa di quello stesso mostro, ne estraiamo il portafoglio e...ne peschiamo la carta di identità! Di fronte all'equivalenza dei dati anagrafici ogni illusione cade e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase, come direbbe montale. Insomma, sappiamo che quel mostro siamo noi.

Allora, delle due l'una: o noi ci siamo mostrificate nel tragitto da casa alla vetrina/specchietto retrovisore della macchina/vetro delle porte dell'autobus, o è in atto una fottutissima congiura ad opera degli specchi che si divertono a proporci immagini indebitamente storpiate della bella persona che tanto ci sbattia
mo a costruire. Sembra una follia, ma giuro che ogni tanto, quando arrivo davanti allo specchio del bagno in ufficio e mi vedo una specie di cespuglio in testa, occhiaie prima inesistenti e sguardo ebete e molto poco intelligente, mi chiedo che cosa diamine mi sarà mai successo nel percorso tra uno specchio e l'altro per subire questo declino, questa rovina e questo sbrindellamento.
Si dice: è la luce. E no! Non va bene! Dovrebbero esserci degli standard di illuminazione comuni a tutte le superfici riflettenti accessibili agli essere umani, perché noi povere femmine non possiamo subire questi cambi di percezione (con conseguente cambio di umore) ogni volta che un riflesso della noi stessa che cammina arriva sotto forma della noi stessa in versione fotoni e va a turbare gli occhietti il cervello il cuoricino della povera, sventurata noi stessa reale che si subisce 'sto benedetto trauma ogni volta, e deve stare zitta ed incassare.
Ma io dico: pure questi benedetti fotoni, non potrebbero
collaborare? Sono delusa,
indispettita: anni e anni a studiarli e questo è il modo in cui dimostrano la loro riconoscenza. Certe particelle sono proprio delle ingrate.

Parlando dell'argomento con diverse amiche, siamo arrivate alla conclusione che l'unico specchio gentile - vuoi perché
ammaestrato, vuoi perché costretto dal quieto vivere e dal fatto che dalla nostra parete non potrà mai schiodare - è lo specchio di casa (in particolare quello d
el bagno: quelli della camera da letto di solito sono più stronzi): lì mai uno sgarro, mai un'occhiaia, mai un minimo segno di stanchezza...
Sarà che anch'essi partecipano dei nostri sentimenti e imparano a volerci bene, o sarà solo il loro ruolo - quello di subdoli ingannatori, mentitori incalliti che ti trasformano in una strafica con una chioma da pubblicità della pantene quando invece hai in testa due spaghettini stropicciati perfetti per una pubblicità della barilla - nella congiura che gli specchi quotidianamente operano a dànno delle donne?
E poi: lei avrà pure reagito male e sarà stata eccessivamente rancorosa e vendicativa, ma alla povera strega di biancaneva potevano effettivamente pure girare un po' le scatole per le continue prese il giro del suo specchio mettitore di zizzania, o no?! ...E vogliamo parlare di tutto quel casino di sette nani, principi, mele e animaletti della foresta vari che è seguito alle provocazioni di uno stupido specchio?

Insomma, la storia e l'immaginario popolare fiabesco ci insegnano a diffidare degli specchi, e così mi consolo, pensando che gli specchi mentono di continuo e che io non sono quella che si vede da fuori, riflessa dalle vetrine, dalle porte degli autobus, dalle telecamere nei circuiti chiusi dei negozi di elettronica, ma sono quella che vedo io da dentro e che per fortuna nessuno specchio mi potrà mai storpiare.

mercoledì 8 settembre 2010

dedicato alle caprette

C'è poco da fare: a me la domenica piace andare a vedere le caprette.

Niente mi rilassa e stimola di più di guardare queste simpatiche creature che vivono felici la loro domenica pomeriggio con le loro simili o, magari, in compagnia di qualche altro strano animaletto.
Nell'ultimo anno la mia passione per le caprette è diventata via via più intensa, tanto che ora stanno cominciando ad emergere dentro di me, diciamo così, delle paure e dei sensi di colpa nei confronti delle pecorelle.
Come dichiarato in diverse circostanze ho un debito d'onore con la specie "pecorella" - potrei andare a cercarne il nome scientifico in giro su google, ma non mi va - anche perché convivo con una di esse da quando avevo 14 anni e ci siamo sempre volute tanto bene, sebbene la mia pecorella non sia una pecorella propriamente detta ma somigli, piuttosto, ad un parrucchino mal riuscito trovato in qualche negozio di parrucche negli anni 20 (dell'ottocento).
Non so perché ma le pecorelle, quantomeno nel mio personale immaginario, sono in qualche modo imparentate con le caprette (così come le rane sono tutte femmine e i rospi sono tutti maschi), e di entrambe non ho ancora ben capito quale dovrebbe essere il partner maschile (il montone? L'ariete? Lo stambecco????). Ho quindi paura che questo mio crescente entusiasmo per le caprette potrebbe essere a maggior ragione mal visto dalle pecorelle, che potrebbero accusare me di tradimento intestino, proprio con le loro cugine caprette, e cominciare a belare in modo polemico, rivolte a queste ultime, "parenti serpenti".

Insomma, non è a cuor leggero che pubblico sul blog questa dichiarazione di poetica, ma i tempi chiamano per un outing chiaro e coraggioso e ho deciso che non posso tirarmi indietro.
Spero che le pecorelle non me ne vorranno.

La capretta è un animaletto di carattere, c'è poco da fare.
Qualche mese fa eravamo allo Jardin Alpin, vicino Ginevra, e ho avuto una chiara dimostrazione della solidità caratteriale di questi ovini. Ero, infatti, lì a fare la stupidina e raccoglievo da terra foglie cadute e pezzetti di pane, e di tanto in tanto, quando il mio bottino di mondezza raggiungeva una soglia dignitosa, infilavo la mano tra la rete per dare da mangiare alle caprette accorse dalla mia parte. Finché la mano che porgeva loro il cibo era piena di qualcosa di commestibile tutto bene. Ad un certo punto, però (peccando di hybris, ora lo so), sentendomi meritevole di un contatto affettuoso e disinteressato con la capretta (dopo aver passato dieci minuti a nutrirla), ho osato allungare la mano vuota così, per fare una carezza, e...la capretta si è avvicinata, ha capito che la mano era vuota, e ha subito dato una cornata sulla rete come a dire: "Ao', ma che stamo a perde tempo qua?? Che me stai a frega'?!?!"...Insomma, dopo tanto penare non ho meritato manco un gesto d'amore dalla capretta ingorda, ma non ho potuto non apprezzare la fattività dell'animaletto, il forte senso pratico e la chiarezza mentale che ha dimostrato.

Un altro ricordo felice legato alle caprette si è formato nella mia testa, sotto la pecorella, non più tardi di domenica scorsa, quando siamo andati in un altro parco - questo ben più grande - e abbiamo trovato una mare di animaletti simpaticissimi capeggiati, manco a dirlo, da una grande varietà di caprette.
Come è nel loro carattere votato alla leadership, due caprette bianche e nere, una grande ed una piccola, c'hanno accolto nei pressi della cancellata di ingresso, come a dire buongiorno, ben trovati, siamo contenti della visita, e lì ho potuto constatare un'altra grandissima abilità delle caprette: il ventriloquismo.
E' successo infatti che una delle due caprette - quella piccola - stesse lì vicino alla rete a fare gli onori di casa, e che nel frattempo emettesse un sommesso "meeehhhh" senza muovere la bocca. Che figata! Per un attimo sono rimasta perplessa, ma quando mi sono convinta che il suono arrivava dalla nostra ospite, non ho potuto che segnare altri mille punti alle caprette e inchinarmi ammirata di fronte a tanta abilità.

Dopo aver girato per un po' nel parco siamo tornati dalle caprette, che a quel punto erano diventate tre: due piccoline scalmanate ed una grande sbragata per terra, disinteressata degli avvenimenti esteriori (apparentemente, forse: qualcosa mi dice che la capretta è sempre vigile), con l'aria cinica e annoiata di chi, nella vita, ne ha viste tante e non c'ha certo fantasia di starcelo a raccontare a noi. Le due piccoline, invece, hanno dato spettacolo: si sono infatti esibite in una lotta senza esclusione di colpi, correndo come scalmanate, zompando su un masso dalla cui sommità (quando non scivolavano come sceme) si avventavano poi sull'altra con la testolina in diagonale per rendere più efficace il colpo di cornette. Ahh, che meraviglia! Una delle due, in tutto questo clamore, è pure riuscita a fermarsi da noi a fare il pit-stop: si è infatti presa la fogliolina che le stavamo porgendo DA TRE ORE e poi è corsa via, più carica che mai grazie alle 0.001 calorie guadagnate con la nostra fogliolina, per tornare ad attaccare la sua amichetta.

Insomma, le caprette c'hanno il know how per un sacco di cose, ed io le ammiro sempre di più. Mi piacerebbe davvero, un giorno, finire non so come a vivere in una casa con un grande pezzo di terra e circondarmi di caprette isteriche e felici che mi corrono intorno e si mangiano le mie povere piantine.

p.s. I cuccioli di capretta sono stupendi, ma quelli umani sono ancora meglio, e ne ho avuto dimostrazione proprio allo Jardin Alpin. Mentre ero lì che, come una pupetta, cercavo di raccattare foglioline da terra per giocare a dar da mangiare agli animali, mi si è avvicinato un piccolo bimbetto cinese che non avrà avuto più di tre anni e, avendo visto che tanto mi affannavo a cercare del cibo, mi ha porto la sua manina e...mi ha dato tutto il mais che aveva dentro per darlo alle caprette! Sorvolando su chi sia stato l'adulto e chi il bambino in questa circostanza, confesso che mi sono commossa di fronte a tanta dolcezza, e questo piccolo scambio di mangime tra noi nutritori di caprette mi ha fatto sentire, come dire, molto orgogliosa anche di noi homo sapiens, che a volte sappiamo essere davvero speciali.

domenica 11 luglio 2010

l'animaletto domestico dell'oracolo di delfi - il polpo paul

Se gli organizzatori del mondiale South Africa 2010 l'avessero saputo prima, senz'altro il simbolo della competizione non sarebbe stato un omino stilizzato che calcia in rovesciata un pallone sullo sfondo dei colori della bandiera sudafricana, ma un tentacoloso polpo aggrovigliato ad un pallone che innalza con uno dei suoi tentacoli la coppa del mondo.
C'è poco da fare, volenti o nolenti il polpo Paul ha conquistato la ribalta con le sue predizioni e, sebbene la coppa del mondo sia ora in terra spagnola, sarà lui che passerà alla storia come il vincitore morale di South Africa 2010.
Prima di lasciarmi andare alla sudditanza psicologica (con la devozione incondizionata che ne consegue) per questo animaletto eccezionale, vorrei soffermarmi su quella che, a mio avviso, dovrebbe essere una delle domande principali per chiunque si affacci nel fantastico mondo dei miracoli di Paul, ma che, non so perché, invece nessuno sembra porsi. Ovvero: ma come diavolo è cominciato tutto questo?
Mi spiego meglio. Da brava italiana so che cosa sia la superstizione mondiale, la sacralità dei rituali anche nei loro aspetti più improbabili e le inaspettate strategie propiziatorie che le menti del nostro popolo colorito riescono ad elaborare in concomitanza delle partite storiche della nazionale, ma mai, mai e poi mai riesco a concepire come sia possibile che un tizio che, svegliatosi la mattina di una giornata in cui cadeva una importante competizione per la sua squadra (la germania, in questo caso), decidesse di porre fine immediatamente al mistero, si risolvesse, a tal fine, ad interrogare un polpo di un acquario in uno zoo sottoponendogli del cibo chiuso in contenitori trasparenti drappeggiati dalle bandiere delle squadre sfidanti. La procedura è quantomeno poco intuitiva.
Parlando con marco di questo argomento, questi ha realisticamente suggerito che la procedura sia stata definita alla fine di una serata a base di alcool da una cricca di crucchi ubriachi (wow, un fonosimbolismo!) che, per sapere in anticipo come sarebbe finita la partita della loro altrettanto crucca nazionale, si sono guardati e si sono detti: interroghiamo un polpo!

E va be', accettato questo mistero non c'è che farsi suggestionare dalle eroiche gesta di Paul, che senza paura sfida la sua stessa possibilità di sopravvivenza e pronostica coraggiosamente l'uscita di scena dai mondiali del suo paese ospitante, la germania.

In italia poche voci pubbliche sanno essere altrettanto coraggiose, e dunque tutti noi ne siamo suggestionati.

Il fatto è che il polpo piace.
E' lì nella sua vaschetta, incorruttibile, sceglie senza paura e poi, dopo la crudele (o dolce) sentenza, torna a sonnecchiare sui suoi scogli attendendo sereno la comparsa di eventuali sicari vendicatori.
Il polpo è inoltre figura attuale. Nell'immaginario collettivo italiano evoca la piovra, e quindi pone in primo piano problemi sempre attuali nel nostro scenario politico-sociale quali la mafia, che una serie televisiva di un paio di decenni fa associava a questo animaletto parente di paul.
Il numero enorme di tentacoli è anch'esso chiaro richiamo al sistema corruttibile italiano e cita con coraggio la capillarità delle reti clientelari che deturpano e indeboliscono ogni giorno la nostra società, e rendono quindi paul figlio del suo tempo e rappresentante innocente dell'insanità del momento in cui vive.
Come proponeva ieri dario, forse l'altra sera casillas avrebbe dovuto alzare al cielo il polpo, non la coppa, o, ancora meglio, avrebbe dovuto baciare appassionatamente la sua bella facciona oblunga e non quella della sua affascinante fidanzata giornalista. Minimo minimo sarebbe stata auspicabile una invasione di campo di paul, anziché del nostro folcloristico connazionale pro-cassano che ci ha fatto fare la nostra solita, affezionata e immancabile figura da peracottari.
E va be'.

In rete sono circolate diverse teorie sulle modalità con cui paul elabora i suoi pronostici, ma non voglio sofferarmi sull'argomento perché preferisco preservare il fascino della circostanza per cui un polpo è più bravo di mille esperti a predire i risultati delle competizioni mondiali, piuttosto che lanciarmi in intellingenti considerazioni sulla disposizione delle squadre nella vaschetta, sui colori delle bandiere etc. Certe divinità vanno amate bovinamente, senza domande di sorta, con puri tripli salti mortali di fede. E paul non merita nulla di meno che questo amore incondizionato, perché ha rallegrato, almeno a noi italiani, un triste mondiale passato per tre partite ad aspettare che la nazionale cominciasse a giocare sul serio a pallone, e per le altre a gufarla alla germania a causa del video che tre dei suoi sbronzi tifosi avevano diffuso prima del mondiale su internet, augurando la sconfitta all'italia. Come diceva giustamente zucconi su repubblica, l'altro giorno: chi gufa sarà gufato. E paul ci ha vendicato.

Piccolo scoop in diretta. Proprio mentre sto scrivendo questo post, leggo su repubblica online che l'istruttrice del polpo ha rivelato interessanti retroscena sulla storia di paul, spiegando che paul è italiano - toscano, in particolare - e che proviene dall'isola d'elba.
Ecco spiegato il mistero.
In italia non solo cani e porci si intendono di calcio, ma pure abitanti del mondo sottomarino che, impossibilitati dal caos proveniente dalle terre emerse a vivere in pace la loro umida vita, di domenica pomeriggio (e ora pure sabato sera, e mercoledì sera, e a volte martedì etc), hanno deciso di interessarsi del business del calcio e di provare a capirci qualcosa anche loro per prendere parte alle discussioni.
Forse Paul, in quanto toscano, è della fiorentina e prandelli è stato una sua dritta.

Mi permetto di chiudere il post con un invito: la snai dovrebbe adottare l'icona di paul come suo simbolo. Un polpo che, penna al tentacolo, compila una schedina mentre dietro di esso si ammassa una folla di scommettitori domenicali che cercano di carpire i suoi pronostici al fine di poterli usare per arricchire le loro tasche.
Non solo: la figura di paul andrebbe aggiunta ai profeti che secoli di storia occidentale hanno tramandato fino a noi. La pizia, l'oracolo di delfi, tiresia, la sibilla cumana...e infine paul che, se tanto ci dà tanto, è la versione attuale del saggio che guarda lontano nel tempo, e che incarna la saggezza e il meglio dell'umanità ad esso contemporanea. Se la componente divina della grecia classica si traduceva in tiresia o nell'oracolo di delfi, quella dei primi italici nella sibilla cumana, quella dei francesi del '500 in nostradamus, la nostra si traduce in...un polpo, che infila tentacoli dove può per procacciarsi il cibo e se ne frega di tutto e di tutti. Direi che ci facciamo un figurone: agli occhi dei fottutissimi posteri che stanno sempre a mettere pressione risulterà che siamo davvero un popolo fico che nulla ha da imparare dal mos maiorum o da genti varie passate o future.

mercoledì 9 giugno 2010

l'astuzia e il commovente coraggio dei pallini gialli

L'altra mattina mi sono svegliata molto stanca. Sebbene la notte avessi riposato abbastanza bene, la stanchezza accumulata nell'ultimo periodo è tale che difficilmente può essere smaltita in una notte di sonno.
Nonostante la fatica, mi sono alzata, ho messo su l'acqua per il tè, ho avviato il pc...e mi sono resa conto che avevo qualcosa di inconcluso in testa, come se mi fosse sfuggita una riflessione importante che stavo facendo e che non avevo portato fino in fondo, o come se avessi dimenticato qualcosa di bello che mi piaceva rigirarmi nella mente ma che, in quel momento, era fuggito via.
Proprio mentre stavo spalmando il miele sul pane...tac! ecco che mi è apparsa splendente e ben definita, proprio al centro del cervello, la causa di quella insoddisfazione mattutina: il sogno che stavo facendo e che il suono della sveglia aveva interrotto proprio nel momento di massimo pathos narrativo.
La prima parte del sogno si svolgeva in una specie di enorme villa: accedevo ad essa attraverso un bellissimo giardino pieno di fiori e fontane e, quasi istantaneamente, mi ritrovavo a guardare l'ingresso dell'edificio stesso dall'interno, da una sorta di stanza che dava nella sala informatica in cui erano situati tre pc neri.
Ora, il fatto curioso della faccenda era che i capi della villa erano tre grandi cagnoni neri e, dato che avevo bisogno di un account in uno dei computer lì presenti, dovevo rivolgermi ad essi perché mi abilitassero all'utilizzo di una di quelle macchine.
Don't worry, il fatto di dovermi rivolgere a tre cani per avere un account su un pc non mi preoccupava: sono cose che capitano quotidianamente. Tutto sta nel sapersi comportare.
Proprio mentre mi muovevo per cercare i cani ed avere l'account...lo scenario cambiava rapidamente e mi trovavo su una spiaggia ai piedi di quello che credevo fosse il relitto di una grande nave.
Ora, si scopriva che in realtà tutta questa storia di cani era una grandiosa lotta tra titani (o dèi o roba simile) che volevano conquistare il mondo e che mettevano in pericolo l'umanità, e che i cani, insieme con mia zia, stavano cercando di capire come gestire la situazione.
Ad un certo punto, però, si capiva ancora meglio e si scopriva che in realtà degli umani non ce ne fregava nulla, e che i veri protagonisti erano dei piccoli pallini gialli di mezzo centimentro di diametro, creature vive e intelligenti che avevano una faccetta - meglio: erano solo una piccola, tonda faccia gialla -, dei sentimenti e dei pensieri, e che erano in pericolo perché una specie di dio del cielo, che in quel momento, però, stava facendo il bagno nell'oceano e in pochi minuti si sarebbe messo a prendere il sole sulla spiaggia, voleva distruggerli tutti e far estinguere la loro specie.
I pallini gialli non ci stavano.
Saranno pure stati pallini ma avevano una enorme dignità e forza d'animo.
Con mio grande stupore, nonostante il supposto risentimento che avrebbe, a mio avviso, dovuto monopolizzare il loro cuore, vedevo allora che piano piano si facevano gentili e carini e andavano dal dio del cielo che prendeva il sole (ora non più sulla spiaggia, ma sospeso a pochi metri nell'aria, a penzoloni su una nuvola) ed erano gentilissimi con lui: gli chiedevano se avesse bisogno di qualcosa, se voleva un gelato, se potevano far qualcosa per allietarlo...Insomma, risultavano amabili e disponibili.
A quel punto io rimanevo molto perplessa e pensavo che era strano, tutto questo, perché visto che era in pericolo il loro universo avrebbero potuto pure essere un po' incazzati col dio del cielo che voleva distruggerli, invece sembravano docili e mansueti e non si preoccupavano di nulla.
Fatto sta che, proprio mentre mi abbandonavo a queste riflessioni, vedevo che tutti i pallini gialli, che prima volavano all'altezza della nuvola dove prendeva il sole il dio del cielo, rivolgevano i volti verso il basso e cominciavano a scendere (per svolgere eventuali compiti richiesti dal dio, pensavo io che sono ingenua e mi faccio fregare sempre da tutti, extraterrestri, animali o forme geometriche che siano) ma, proprio in quel momento...le loro facce si trasformavano, assumevano un'espressione terribile...e si precipitavano con una furia incredibile verso il basso, dove atterravano producendo una nuvola enorme di granelli di sale bianchi bianchi, che, si capiva (il collegamento è ovvio, come non pensarci) avrebbe avvolto il dio del cielo e lo avrebbe distrutto.
Tiè.

Proprio in quel momento, mentre mi pregustavo la scena epica in cui il dio del cielo sarebbe stato sciolto o non so cosa dal sale dei pallini gialli, nel momento subito prima della comprensione, quando la mente è tutta tesa ad assaporare il gusto della scoperta...ho cominciato ad avvertire un suono alieno, inadatto, e mi sono chiesta: ma che davvero ho lasciato il cellulare acceso in un momento così epico? Davvero sono stata così indelicata?
...Ma poi ho capito che il suono era più reale dei pallini gialli, che la vita vera era quella a cui si riferiva la sveglia e che toccava lasciare questo paradiso di giustizia per andare a fare colazione.

Stasera mi vado a comprare le M&Ms e faccio loro un altarino.

sabato 20 febbraio 2010

In memory of Gregorio

This post is dedicated to the memory of a great soul, Gregorio's one, and to the meanness of a human being, me.

Yesterday I had a very nice dinner with my italian-spanish-french friends: we went to an indian restaurant, whose look was very suggestive and whose food was great (heavy, but great).
In my infinite ingenuousness, while we were organizing the night - ok, actually all the organization was devolved upon the nicest french in the world, Morgan-Morganizator-Moranisor - my only doubt was about the spices present in the food, because I really don't like some of them and I want to avoid with all my energies that some of that seeds of cilantro, cumino etc enters in my mouth.
What a stupid woman I am (to say simultaneously "stupid" and "woman" is redundant, I know)!
I was so occupied in worrying about spices, that neither for one moment I consider the possibility that, instead of strange, exotic seeds, I was eating...an insect! A black insect, with a lot of legs and with a terrible look.
At the very beginning, while having my icecream, I tasted something very bitter, and I started complaining about having eaten something like a piece of plastic or something like that.
After some other spoon of icecream, I noticed a black object in the cup, so I recovered it and removed all the residual icecream on it. And at that very point, I understood how ingenuous I was in spending my time after spice-related problems, while I should have rather concentrated on the presence of animals inside my food.

After that incredible discovery, I showed it to my friends whit a disgusted look, but some of them - probably one more sensible than me to all the wonderful forms that the life can assume on this earth - explained me that that being I was looking at with such a bad face was Gregorio, that it had a life and that probably I ate, some minutes before, one of its best friends. No! It was even worse: probably I ate its girlfriend/wife, with which it was doing their honeymoon in Paris! Probably in the very same moment that the spoon captured one of them to take it to my mouth, they were planning their life together: having some kids, buying a home and, why not?, renting a camper to travel all around the world. The situation was collapsing. It was a real drama.
I felt guilty, insensible and really wretch: in front of such a tragedy I was only able to say: che schifo*!



* in italian: it is disgusting!

giovedì 11 febbraio 2010

a love story

È proprio vero che paris è la città dell'amore.
Pensavamo che laura fosse venuta per rilassarsi, per vedere le sue care amiche, per fare shopping o visitare la tour eiffel e invece no, era tutto scritto nel destino, le forze cosmiche già cooperavano per realizzare il loro disegno amoroso, sfruttando noi povere ingenuee, vittime della stupida illusione del libero arbitrio, per attuare i loro porci comodi.
La terra tutta ha girato in questi ultimi mesi per far incontrare, in una fredda domenica invernale di paris - anzi, no, di thiais, piccolo paesino a sud della capitale, che ospita una delle tante istanze terrestri di ikea (non mi sento di escludere che essa esista anche sul pianeta degli alieni) - ben e juliette, destinati ad un amore profondo e ad un futuro di passione in questo mondo complicato e sottosopra.
Qualche insensato definirebbe ben una pupazza, un inutile pezzo di stoffa pieno di altrettanto inutili pezzi di gommapiuma - guardate che sto rischiando la vita dicendo queste cose, quindi abbiate il buon gusto di seguirmi e di figurarvi con attenzione tutto ciò che vi descrivo - ma commetterebbe un grosso errore. Ben è una bellissima giraffina di pelouche di ikea (ci vedete insieme in una delle foto in basso), e ha dentro di sé un mondo pieno ed insospettabile.
L'ho incontrato per la prima volta da ikea, in un cestone pieno di tanti suoi simili: ci siamo visti, ci siamo piaciuti - si sa come vanno queste cose - e ho deciso di comprare il suo cuore. A dire la verità lui e il suddetto cuore erano dati via con lo sconto, ma questo non sminuisce la passione che mi ha spinto e ciò che dopo è nato tra noi.
Proprio mentre io conquistavo/acquistavo ben, laura ha fatto altrettanto con juliette, che però - le è stato chiaro fin dall'inizio - il destino non aveva destinato a lei ma alla nostra amica e compagna di avventure ilaria; laura, da donna di mondo qual è, si è adeguata al suo ruolo di intermediaria e, senza storie o drammoni, ha portato juliette a quest'ultima.
Il resto lo potete immaginare: quando ci siamo ritrovate tutte e tre da starbucks e ila ha tirato fuori dalla busta juliette, eccola là che ben - che tenevo tra le braccia - si è subito scosso, smosso, turbato, e alla di lei vista la sua vista si è annebbiata ed è caduto a terra vittima dell'emozione.

Che bella storia!

Sì, ma non è tutto. Il dettaglio numero uno è: perché la giraffina si chiama ben? Chi mi frequenta in questo periodo sa del drammone che è in corso dentro di me, per cui, per la prima volta in vita mia, mi trovo a subire il fascino di un cattivo. Tutto è cominciato quando, sotto natale, i miei cari amichetti hanno creato una pressione psicologica ed una tale curiosità in me riguardo alla fortunata serie lost, che, tornata a parigi, ho cominciato a vedermela. Dopo qualche inciampo iniziale dovuto alla mia paura di trovarmi di nuovo intrappolata nel complotto alieno, mi sono fatta prendere dai casi di quei poracci e...mi sono invaghita del loro nemico numero uno, benjamin linus: si prende gioco di loro, li manipola, ha fatto fuori un bel po' di gente ma...è il mio eroe! Lo trovo bello, affascinante, interessante e dolce. Dirò di più: guardandolo intuisco il passato profondo e avvincente che ha dietro, e mi faccio avvolgere dal suo fascino e dagli intriganti ammiccamenti del suo vissuto.
Il caso - meglio: gli sceneggiatori di lost - vuole/vogliono che ben sia innamorato di tale juliet, per la quale una sera ha preparato un arrosto fantastico, e con la quale è dolce e premuroso, tanto da ammazzare gli altri suoi spasimanti e averla intrappolata lì con lui per tre anni. Insomma, un uomo da sposare.
Non capisco proprio perché le mie amiche femmine - laura in particolare - non supportino questa mia passione. Oltretutto, ben è raffinato, acculturato, suona il pianoforte, cita uomini e topi a memoria e accoglie le donne con i fiori. Non venite a dirmi che è poco.
Va be', nel frattempo ammazza gente e manipola innocenti, ma si sa che queste cose possono capitare, in una relazione amorosa.
Insomma, ho deciso di celebrarlo con la giraffina, e subito essa è diventata la mia versione personale di ben, con tutti i suoi poteri e le sue capacità.
Mentre, al tavolino di starbucks, discutevamo con ilaria il nome della sua giraffa, questa, sentita la nostra storia riguardo all'origine del nome ben, si è subito dimostrata entusiasta all'idea di chiamarla juliette (ha voluto francesizzare juliet): probabilmene ha capito che non è il caso di contrariare ben e ha accettato di buon grado il battesimo.
I due si sono fidanzati immediatamente, e tutto sarebbe stato perfetto se solo ilaria non avesse pensato bene di rompere l'idillio dicendo seduta stante che quello sarebbe stato un fidanzamento in bianco.
Al suono spinoso di queste parole ben, da uomo che sa stare al mondo, ha chiesto la mano di juliette. Questa ha accettato, tra la grande emozione di entrambi e di me, ilaria, e laura, che in fondo siamo mamme e madrine dei due piccioncini (che schifo, ho nominato i piccioni) e che abbiamo a fatica mascherato la commozione.

Come ci insegnano la storia e la vita, però, non ogni aspetto delle cose può essere semplice, e l'ostacolo principale che intravedo nei prossimi, felici mesi di preparativi è il pessimo carattere di ben.
Per quanto riguarda me, a dire il vero, non ho grandi problemi: ben mi vuole bene e sa che mai gli mancherei di rispetto. Chi veramente scherza col fuoco è laura, che si ostina a maltrattarlo e a diffamarlo, per giunta davanti a estranei.
Facciamo un esempio e mettiamo a tacere ogni scetticismo. Domenica sera, mentre ci accingevamo con laura a guardare una puntata di lost, questa ha pensato bene di farmi trovare ben incastrato a testa in giù sulla testiera del letto. Le toglieva spazio, ha detto.
A nulla è valsa la mia corsa frenetica per liberarlo e per ristabilire la distribuzione spaziale delle sue stoffe e della sua gommapiuma: il danno ormai era fatto e ben si era segnato tutto.
Il giorno dopo, guarda un po', laura aveva l'aereo alle sette di mattina, e si è quindi alzata alle 4:45 per essere in tempo ad orly.
È uscita nel freddo di parigi, ha corso per prendere il bus, è arrivata alle 6:15 nell'aeroporto abbandonato dell'alba e...ha scoperto che il volo era in ritardo e che sarebbe partito alle dieci. Alé.
Qualcosa mi dice che la prossima volta terrà le mani a posto.

Per il resto, nonostante l'entusiasmo e la felicità in vista del lieto evento, nei prossimi mesi ilaria ed io saremo molto indaffarate con l'organizzazione del matrimonio del secolo, e verremo senz'altro sottoposte ad un forte stress mentale ed emotivo: ben è esigente ed ogni dettaglio è importante, e né lei né io abbiamo intenzione di fare una brutta fine perché, che so, scegliamo i tovagliolini del colore sbagliato o il salmone arriva freddo in tavola.

lunedì 1 febbraio 2010

why "capricci"? - silvia's too many whims

As usual it is a pecorella’s fault.
I had it by chance after a series of incredible genetic combinations more or less 31 years ago, and since then it is affecting my everyday life in an unpredictable way.
Uh, you’re right, I have to introduce it: “la pecorella” – literally, in italian, the little sheep – are my curly hair. Now that I have to introduce it – definetively for the first time in such an official way – I find natural to investigate on the origin of this name . I know for sure that at the elementary school my hair were just my hair, while I can state that at the high-school my hair were no more my hair but they were “la pecorella”. If I should bet some money on it, I would say that the “ego te baptizo pecorella” dates to the rehearses of “Così è se vi pare” of our high-school drama company, during the first year, in the spring of anno domini 1994. I wonder if some of my old friends can remember some further detail…However, it is quite easy to imagine how a poor girl with a lot of overwhelming curlies as I was, grew up on the soundtracks of the well-know singsong “Ogni riccio un capriccio” (in english: one whim for every curly). Let’s add to it a nature not so…accomodating (euphemisms at the limit of the lie are admitted in the blogs, aren’t they?) and here I am, trying to find a title for this blog (actually, what is it? A diary? An enviroment to share feelings, ideas etc?), and concluding that the best synthesis that appears in my mind – place that has always been under the little sheep jurisdiction, that warm it and protect it since it was born – it is definitively “capricci”, whims.

Capricious??!?! Am I capricious?? Me????

Ok, ok, before a crowd of ex-boyfriends will rise up to defend the concrete, I stop pretending to be upset with this insinuation and I admit it at once: I am capricious. Nomina sunt consequentia rerum, even if, following this sentence, it would rather seem that the curlies are consequences of things, but then we should be sure that, in the genetic mechanisms that gave life to this wonderful piece of woman (???), the whim-dedicated gene was defined before the curly-devoted one, as if the microscopic dynamics assigned to the structuration of the tricological character, having noted that the chemistry of the behaviour-controlling genes gave birth to a quite complex personality, always argumenting, touchy and unpleasant, rearrange them peremptorily inserting the tac-tgc-gca sequence – or whatever it is – corresponding to curly hair. And putting a sheep on my head.

But what is a whim?
I have no idea about its psycological/psychiatric definition, but during last years, analysing myself, I learnt to understand what a whim is for me. I found the mechanism at its basis.

At the very beginning there is a desire. Not a simple desire, but a desire regarding even other people. I find myself desiring to live something with someone, where “to live” and “something” can assume a lot of various forms: to live can be to do, to give, to get, to share, and something can be an offert, an evening, a promise, a journey. I feel that this desire should be not only mine, but even of the other person involved in the business, and I start to think that, reasonably, my partner will cooperate with me to realize this impulse. The crucial point is that this cooperation must be spontaneous. If, by chance, the situation si different, what can I do is trying to give some indication, suggest to the other person what I would hope that he/she finds inside him/her. In the unlikely case, however, that my “suggesting” goes beyond a certain threshold, situation collapses and the whim arrives. And the reason is because I cannot find any spontaneity in the choice, and even if the partner, in the end, starts its way towards our shared desire, I feel some desease. In few words: I do not want it anymore. I don’t like it anymore.

This is the reason why the balancing between seconding a desire and the evaluation of the efforts that is reasonable to do to accomplish it is a very delicate mechanism, that has to be operated cautiously and being perfectly aware of the consequences that every step of the process will generate.

The best schematization of it is the sentence that, very often, people addressed to me: how did it happen? You wanted it so strongly and now… you do not want it anymore?

Yes, exactly. But it’s my fault.

Growing old, with the adulthood, I understood that insistence is not for me. Some friends tell that I am too proud. It is partially true, but in the very last months I understood that pride is nothing but a kind of defence from disappointments. If someone begs me, indeed, to have something, it clearly means that he really cares for it, and that probably my desire, my effort – in the case I will consent to give it – will be well invested. Pride hides no superiority: it is just instinct of self-preservation. Funny enough, as soon as I identified this mechanism, I stopped being so proud. Yes, I know: a psychologist would say that it is not strange at all…

Not so proud anymore, but I am still doing whims. I will always do whims. Probably when I will have children I will stop, because then – if between the other aspects they will inherit the little sheep, my curly hair – they will have the duty of doing whims, and I will interpret the role of the gentle mother that second those very same whims, that understand and recognize them, and it will touch myself. It will be wonderful.

post scriptum The queen of my balcony, during this december in paris, is without any doubt ornella, the snapdragon. I took it at the old flower market close to notre-dame when it was just a tuft in a bad shape, but month by month it grew up impressively, increasing its dimension and producing dozens of wonderful flowers red and white. In spite of my heart full of joy for its happiness and health, I cannot help me in wondering how the hell it is possible to continue flowering even in december, when we are in the real winter and temperatures are really low. This occurrence made me think, so I started studying the botany of this plant in order to better understand it and shed a light on this strange circumstance. Among the various investigations, I found out that snapdragons, in the flower language, represent the flower of the…whimp! I was astonished. In the middle-age young ladies wore them in their hair in order to repel undesired admirers. To give this flower as a gift, then, means indifference.

And if my flowers understood my nature more than I understood theirs?!